UIL

La bellezza nella trascendenza, nell’armonia, nel piacere estetico

Da canone oggettivo a soggettività interpretante.

Parlare di bellezza significa fare i conti con la capacità umana, molto variata nel tempo, di percepire e riprodurre con vari mezzi qualità intrinseche alla realtà, che la rendono piacevole, stimolante sul piano affettivo e conoscitivo, significativa come rimando a valori superiori ( il divino, la verità, la bontà, l’unità della natura).Da questa prima considerazione emerge l’estrema complessità del discorso. Se sul piano storico possiamo individuare, attraverso le realizzazioni artistiche del passato e il pensiero filosofico, alcune chiare rappresentazioni e concettualizzazioni della bellezza, posta in rapporto ai più alti valori della vita umana, attualizzando il discorso, notiamo che la bellezza diviene sempre più una categoria indistinta, segnata dalla soggettività del gusto, o, al contrario, dalla codificazione delle mode, in originali combinazioni simboliche, dall’essenziale importanza della tecnica, dal peso della funzionalità pratica di oggetti esteticamente appetibili.   

Il momento discriminante in questo percorso si ha nel Settecento con la nascita dell’estetica, la nuova dottrina della conoscenza sensibile ( estetica deriva etimologicamente dal greco aisthànomai, sentire, provare sensazioni ) poi sviluppatasi nella riflessione filosofica sul problema del bello e dell’arte. “E’ in questo momento che la bellezza viene separata da altri campi di indagine, per diventare oggetto di studio rigoroso e autonomo, senza più alcun contatto con la tematica dell’essere, tradizionalmente elemento costitutivo e generativo del bello. Per gli antichi la bellezza era connessa ad altre proprietà trascendentali, come il buono e il vero, era legata alla natura, era una via al senso del mondo e alla sua armonia, una sua partecipazione sensibile e un percorso verso il divino.” ( G.Cucci )   

Con la nascita dell’estetica si teorizza invece una forma di conoscenza specifica legata ai sensi, una conoscenza diversa e autonoma rispetto a quella intellettuale. La conoscenza estetica è chiara ma confusa non in grado di definire distintamente le caratteristiche della cosa rappresentata; è mossa dalla percezione, che si fa sensazione. La bellezza viene studiata come rappresentazione mentale di alcuni aspetti della realtà, che può tradursi – ma non obbligatoriamente - in rappresentazione artistica degli stessi.   

Alla base dell’esperienza estetica vi è un piacere disinteressato, che si produce contemplando il bello, non riconducibile a un concetto preciso, esulando il sentire estetico sia dall’ambito conoscitivo che da quello morale ( I. Kant ). Si fa così spazio alla bellezza vaga e al sublime, forme non circoscrivibili nei canoni estetici tradizionali, indefinibili nei loro contorni ontologici e puramente ricostruibili sulla scorta delle sensazioni prodotte, che proiettano oltre la pura sensibilità. Il vago e il sublime si reggono sull’identica percezione di un limite che si erge invalicabile, dell’ostacolo posto da una Natura informe ed illimitata, prepotente e temibile nelle sue manifestazioni, oppure del tutto inafferrabile nell’insondabile inaccessibilità dei suoi fenomeni. Così strapiombi rocciosi, nuvole temporalesche, ghiacci infranti, cascate fragorose, dirupi minacciosi, vulcani e tempeste devastanti ( elementi del sublime ) muovono l’immaginazione proprio come un lontano sfavillare di stelle, come la luce lunare che si distende sul paesaggio notturno, come lo spazio nascosto da una siepe che è spunto per la proiezione mentale su uno spazio – tempo infiniti.  

Questa bellezza non si regge più su modelli di perfezione astratti e variamente richiamati in modo formale e oggettivo  ( quali la  proporzione, la misura, l’equilibrio tra le parti, l’ordine, l’unità nella varietà, il numero, la prospettiva …. ), ma il bello si lega a un nuovo bisogno di senso all’interno di realtà liberamente perlustrate: è oggetto di ricerca, di investigazione, di interrogazione da parte dell’io. La bellezza perde ogni oggettività e si riconduce alla capacità soggettiva di percepirla, coglierla, interpretarla e rappresentarla interiormente. Sentimento e sensiblerie rivalutano la suggestione originaria e incorrotta degli scenari naturali, con un senso di nostalgia melanconica per le origini ( il buon selvaggio ) evocando parallelamente la spontaneità del fanciullo, capace di un empatico sentire non ancora corrotto dalla razionalità tecnica.   

Si recupera l’immaginazione, come potere di cogliere empiricamente sia la bellezza artistica sia quella naturale e Diderot parla dell’interazione tra l’uomo sensibile e la natura, in molteplici relazioni sorprendenti, che danno vita al pittoresco e al sublime, dove rispettivamente la bellezza è sentita e vissuta nella varietà suggestiva del paesaggio e nella sua forza dirompente e minacciosa.  

Volentieri scenari scabri e spogli di lande desolate sono affiancati da rovine o da resti di abbazie e cimiteri. Il pittore tedesco Friedrich trasferisce in essi la strana suggestione per un passato indistinto di memorie irrevocabili eppure vive a livello  emozionale. L’inquietudine per la fragilità umana delle nature morte secentesche qui rivive, trasferita nella indefinita vastità di mari, pianori e vallate coperte di nubi, come spazi di interrogazione implicita sul nostro destino.  

Sentimento, gusto, passione in età romantica non appaiono più forme irrazionali di conoscenza, troppo lontane dai modelli di bellezza trascendente, armonici e perfetti, e subentrano come categorie emozionali e conoscitive centrali, capaci di incarnare una nuova apertura verso la realtà. La sensibilità romantica è fatta di continua tensione tra finito e infinito, tra l’io e la realtà esterna. Il piacere estetico non si regge più sulla tranquilla contemplazione di scenari naturali o sul razionale padroneggiamento di fenomeni inquietanti, ma diviene processo dinamico, che si esalta nell’emergere lirico del vago e dell’indefinito.   

Il buio della notte si propone quasi come emblema della nuova sensibilità romantica: Novalis intravede in esso una forza invisibile che scuote in modo oscuro e indicibile l’animo, fino a farlo partecipe della trascendenza. In Leopardi, ancor più liricamente, notturna, lunare e stellare è l’atmosfera che circonda memorie, nostalgie, solitudini, riflessioni sul destino umano.  

Le dimensioni della bellezza prendono forma poi nell’elaborazione artistica di drammi esistenziali e nel tentato superamento dei limiti di realtà troppo meschine e insignificanti. E’ in questo momento ad esempio che la bellezza femminile si articola in varianti inconsuete - di disattesa aspirazione alla felicità (Saffo), di doloroso declino, di tragico epilogo nella morte ( la Traviata, Romeo e Giulietta ) - come tratto connotante dell’esperienza amorosa.   
Il dolore, la sofferenza, il rischio politico e militare, il grottesco e la stessa bruttezza vengono inclusi nella categoria del bello, poiché fanno parte della realtà con le sue contraddizioni e i suoi ostacoli da superare. La bellezza di un’esistenza realizzata è una coraggiosa conquista, un’aspettativa generosa e nello stesso tempo una promessa di felicità.   

La moderna sensibilità lascia trasparire sempre più l’inquietudine ansiosa del senso ultimo della vita, e con difficoltà riesce a interpretare la realtà attraverso schemi condivisi e comprensibili, giocati sulla contrapposizione tra il bello ( attraente, piacevole, armonico, consolatorio, angelico … ) e il brutto ( repulsivo, intimidente, demoniaco …. ). Emergono infatti commistioni e ambivalenze.  

Le categorie dell’inconscio e dell’onirico danno consistenza artistica a sogni e visioni, interpretando simbolicamente gli incubi della ragione. La ricerca di bellezza, tensione irrisolta all’interno di un mondo sempre più complesso da decifrare, si disperde in mille direzioni. Baudelaire contrappone l’ideale ( poetico e artistico ) allo spleen, alla noia di una quotidianità bassa, miserevole e avvilente, caotica e contraddittoria; ma la bellezza per lui non risiede nell’eliminazione o sublimazione artistica della realtà, ma nell’inclusione provocatoria di tale cruda disumanità, trasfigurata dalla parola poetica, che la interpreta e la innalza ad altra dimensione. La sua è già una bellezza conoscitiva connotata da un lirismo espressionistico tutto particolare.   

La bellezza da paradigma normativo si trasforma in fenomeno di gusto e, nel momento della produzione e fruizione artistica, si confonde sempre più con il coinvolgente, l’eccentrico, l’avventuroso, il tragico, l’empatico, il sentimentale e, spostandosi su un versante solo in parte estetico, si identifica via via con l’interessante, l’utile, l’emozionale,  in relazione alla complessità della moderna società. I ricchi esiti narrativi dell’’800 ci parlano di vicende umane rese mimeticamente, talvolta teatralmente, al fine di rendere possibile la condivisione di alcuni profili psicologici e le azioni narrative proposte a supporto 
 
Bibliografia 

- Bodei, R. Le forme del bello. Milano:  Il Mulino, 1995;
- Cucci, G.  Tracce del divino. La bellezza via dell’assoluto. Roma: Ed. Paoline, 2012;
-  Eco, U. Storia della bellezza. Milano:  Bompiani, 2004;
- Eco, U., Storia della bruttezza. Milano: Bompiani, 2012;
 - Ferraris M. ( a cura di ) Bellezza. C’è una regola del bello?. [s.l.]: La biblioteca di Repubblica: 2013;
 Perniola, R. M. L’estetica del Novecento. Milano: Il Mulino, 2005

Prof. Alessio Lodes
Pordenone (Italia)
email: prof_biblio_lodesal@yahoo.com