UIL

Veglia per Dante

La notte tra il 13 e 14 settembre 2021, l’IDR insegnanti di religione in uscita, cenacolo culturale, la UIL, Unione Italiani di Lima, alle ore 22.30 ora italiana e 15.30 ora limegna, hanno organizzato un viatico per accompagnare Dante nel suo viaggio verso il Padre.

Il Direttore dell’IDR, Prof. Tiziano Izzo ha aperto la serata ricordando l’importanza del viatico ai tempi dei primi cristiani ed oggi, evidenziando  che Dante colpito dalla malaria mori’ esattamente settecento anni fa.

Il gruppo musicale Cibele ha effettuato una breve serenata che ha introdotto la disquisizione del Prof. Alessio Lodes, Presidente della UIL, che nella lettura di diverse terzine esplicative il pensiero di Dante, e’ stato coadiuvato dalla studentessa dell’Istituto Dante Alighieri, di Lima, Alessandra Palomino.

Il Prof Lodes in apertura del suo discorso ha ricordato come fino al XIX secolo, più o meno intorno alla metà del XIX secolo, quasi tutti, in gran parte del mondo, avevano almeno tre certezze: dove avrebbero trascorso la vita, che cosa avrebbero fatto per vivere e quello che sarebbe successo dopo la morte. Quasi tutti 150 anni fa più o meno, quasi tutti in tutto il mondo, sapevano che avrebbero trascorso la vita la’ dove erano nati, o nei pressi, magari nel villaggio vicino. Tutti sapevano che si sarebbero guadagnati da vivere più o meno come i loro genitori avevano fatto nella generazione precedente. Tutti sapevano che, se si fossero comportati bene, sarebbero approdati a un mondo migliore, dopo la morte. Il XIX secolo ha eroso, spesso distrutto, queste ed altre certezze.

Oggi tutto e’ cambiato. La maggior parte di noi non sa per certo dove vivrà, che lavoro svolgerà e soprattutto non ha nessuna certezza sulla vita dopo la morte.

Dante Alighieri viveva nel mondo di ieri, nel mondo in cui queste certezze erano ancora ben salde. E benché Dante abbia fatto un lavoro diverso da quello in cui, fino ad un certo punto, si sarebbe aspettato di ottenere. aveva delle idee molto precise sulla vita dopo la morte ed era sicuro che queste idee fossero condivise dai suoi lettori.

Il prof. Lodes ha poi evidenziato la scoperta politica in Dante. 

Nell’Ancien Regime la politica aveva un ruolo marginale nella vita degli uomini europei: dopo la Rivoluzione Francese, la politica riguarda invece tutti, dalle città alle campagne. Per descrivere questo fenomeno, lo storico francese Michelle Vovelle parla di “scoperta della politica”. Per certi versi e’ ancora questo il Mondo in cui viviamo: benché internet e la finanza stiano rapidamente cambiando le cose, siamo nell’età della politica.

Nella Monarchia, il trattato latino scritto in esilio negli anni in cui l’imperatore Enrico VII cerca di affermare il suo potere in Italia (1312-1313), Dante sembrerebbe anticipare quest’idea della centralita’ della politica. A suo giudizio, infatti, la politica si pone al centro del dibattito scientifico perché a differenza della matematica e di altre discipline ricade sotto il nostro potere: fa d’uopo considerare che esistono cose che non sono soggette al nostro potere; noi possiamo dopo conoscerle con la mente, ma su di esse non possiamo esercitare un’azione (per esempio ciò che concerne la matematica, la scienza della natura e la teologia). Ve ne sono altre invece che sono soggette al nostro potere: queste noi non soltanto possiamo conoscerle con la mente, ma su di esse possiamo anche esercitare un’azione.

Dante allora afferma che tutto ciò che e’ politico e’ soggetto al nostro potere, e quindi la politica e’ soggetta all’azione, non solo alla conoscenza. La politica si definisce in base al suo obiettivo e il suo scopo e’ comune a tutta la società umana. Bisogna sapere ancora che la potenza caratteristica dell’uomo e’ apprendere per mezzo dell’intelletto; ma l’intelletto per Dante è strettamente legato all’azione pratica. L’azione specifica del singolo uomo, e quindi dell’umanità intera, è di tradurre in atto tutta la potenza dell’intelletto ai fini del conoscere e soprattutto dell’amore. Tuttavia, secondo Dante, la calma è la perfezione che consentono l’azione si raggiungono solo nella pace universale. Questa libertà completa può’ esercitarsi quindi solo sotto la monarchia. Solo col Monarca, infatti, il genere umano esiste in funzione di se’ stesso; solo così si evitano forme di governo devianti, democrazie, oligarchie e tirannidi che riducono in schiavitu’ il genere umano.

Il fine dell’intera società umana e’ pertanto secondo Dante la pace universale, ma questa pace può essere garantita solo da un imperatore: e per quelli che sono appassionati di Guerre Stellari, questa necessità dell’imperatore per raggiungere la pace universale non può che assumere una prospettiva tirannica. Qualcuno oggi potrebbe osservare che anche la Rivoluzione Francese ha condotto al Terrore, ma non è questa l’applicazione dei principi rivoluzionari che molti vorrebbero fare ancora propria.

Nella terza parte della conferenza il prof. Lodes ha evidenziato, come ricordato dal Prof. Izzo in apertura della veglia, che Dante soggiorno’ circa sei anni a Verona. Non vi è alcuna prova certa che sia stata fonte d'ispirazione, ma guardando l'interno a gradoni dell'Arena non può non venire in mente la struttura a gironi concentrici dell'Inferno di Dante. Stando alla cronologia più accreditata, Dante inizia a scrivere il suo capolavoro dopo essere stato a Verona e aver quindi certamente visto l'anfiteatro romano.

Un'altra congettura sulle fonti di ispirazione riguarda il portale in bronzo di San Zeno. Osservandone le figure luminose che emergono dal bronzo scuro dei bassorilievi si pensa subito alla famosa porta dell'Inferno.

Dante conosceva bene l'abazia di San Zeno, tanto che nel Purgatorio incontra un suo vecchio abate:

Io fui abate in San Zeno a Verona
sotto lo ’mperio del buon Barbarossa,
di cui dolente ancor Milan ragiona.
Purgatorio - XVIII, v. 118-120

L'anima accidiosa si lamenta dell'attuale abate, figlio illegittimo di Alberto della Scala, che lo ha imposto alla guida della ricca abazia.

Sappiamo che per la complessa impostazione teologica del Paradiso Dante si consultò spesso coi sapienti frati agostiniani del monastero di Sant'Eufemia.

Resta invece incerto se e quanto abbia frequentato la Biblioteca Capitolare. Tuttavia, per esporre la "Quaestio de aqua et terra" Dante scelse proprio Sant'Elena, la chiesa dei canonici annessa alla Capitolare. Pietro Alighieri figlio di Dante, divenne il notaio ufficiale del Capitolo, che gestiva la biblioteca. Questi sono indizi che fanno ritenere più che probabile che per le sue ricerche Dante abbia frequentato questo tempio del sapere molto conosciuto all'epoca.

L'eredità di Dante a Verona va oltre i luoghi e i personaggi da lui frequentati.

Nel 1315 la famiglia infatti lo raggiunse a Verona quando anche i figli Pietro e Jacopo, raggiunta la maggiore età, dovettero lasciare Firenze.

Il figlio Pietro studiò legge a Bologna finanziato da Cangrande della Scala. Tornato a Verona trovò occupazione come magistrato e si stabilì con la famiglia presso palazzo Bevilacqua, edificio tuttora esistente proprio di fronte alla chiesa di Santa Anastasia.

Alcuni anni fa, durante restauri a Santa Anastasia, sul muro della navata sinistra emerse un affresco con un volto dal tipico profilo del naso e il caratteristico copricapo rosso. La figura è inginocchiata con le mani giunte di fronte a un bambin Gesù che si protende verso di lui. L'opera è ancora in fase di studio, ma la somiglianza con il celebre ritratto di Dante del Bargello è notevole. Trattandosi della chiesa di fronte alla residenza del figlio è del tutto plausibile che possa essere un'opera da lui commissionata per onorare il padre. Sarebbe in questo caso una delle più antiche raffigurazioni del poeta.

Nel 1355 acquistò una tenuta in Valpolicella dove ancora oggi, i conti Serego Alighieri, diretti discendenti di Dante, producono Amarone e gli altri vini del territorio.

Presso la chiesa di San Fermo si trova invece la cappella di famiglia Alighieri.

Successivamente la discussione del Prof. Lodes brevemente si incentra sul cinema di cui però sottolinea il limite delle trasposizioni dantesche nel nuovo medium in quanto comporta la necessità di diminutio delle potenzialità di un’opera che, pur esibendo una forte dimensione narrativa, non è riducibile esclusivamente alla somma degli eventi narrati.

Il poema dantesco può essere “illustrato” e “ricostruito” come in A Tv Dante di Tom Phillips e Peter Greenaway, oppure attraverso la visionarietà, evocando situazioni ed eventi con immagini però sempre meno realistiche come in Federico Fellini. Di certo non esiste un’unica immagine di Dante nel Novecento, ed è proprio la possibilità di creare ed ispirare che definisce il potere della Commedia piegando i suoi temi ai più disparati utilizzi, ma il Dante del Novecento è quello degli Inferni realizzati in Terra, dei Purgatori che conducono solo a placare la sofferenza e non ad un Paradiso, davanti al quale tutto tace: « A l’alta fantasia qui mancò possa».

In conclusione il Prof. Lodes ha aperto una parentesi su Dante e la Sardegna: un davvero particolare, tanto che a dire che se le tenebre che avvolgono la storia della Sardegna nel secolo XIII vennero in parte squarciate, lo si deve proprio al sommo pieta e al suo capolavoro. 

Il pellegrino fu l’unico a porre fine all’assordante silenzio dei cronisti medievali italiani nei confronti della storia sarda.

Un silenzio davvero strano se non addirittura di sorprendente. Perché se leggiamo i testi danteschi con attenzione, ci accorgiamo che Dante dà notizie precise su vari personaggi sardi, di nascita o d’adozione, realmente esistiti come Michele Zanche, fra’ Gomita, Branca Doria, il Giudice Nino Gentile e la sua Giovanna.

Il poeta toscano, quindi, sembra essere piuttosto ben informato sulle vicende inerenti alla Sardegna, della quale parla sia nella Divina commedia, sia in altri scritti.

Dante ci parla delle febbri malariche, delle costumanze delle donne di Barbagia, e persino della lingua sarda; e le sue notizie, tutte nuove di zecca, vennero in seguito raccolte e commentate da letterati d’ogni tempo, con tale disaccordo di opinioni, da renderci persuasi dell’ignoranza degli italiani in fatto di storia sarda.

Ciò che provoca meraviglia e’ che non solo la storia, ma anche la geografia, la lingua, i costumi, gli uomini, i fatti della Sardegna nel tempo di Dante venissero rispecchiati nelle sue opere con tanta precisione e abbondanza d’informazioni e in forte contrasto col silenzio che tutti i suoi contemporanei manifestarono nei confronti dell’Isola.

La commedia ricostruisce i rapporti di amicizia e di lavoro che legarono Dante ad alcuni personaggi che in Sardegna ci vissero e che ci andarono più volte nel corso della loro esistenza, come ad esempio il Giudice di Gallura Nino Visconti o ancora Corrado Malaspina, entrambi immortalati nelle pagine della Divina commedia.

La veglia si è’ svolta sul canale google meet, oltre a vedere la partecipazione di tanti membri dell’IDR da tutte le parti d’Italia, e’ stata seguita dai discenti Giuliana e Gianluca D’Andrea studenti presso un liceo canadese, l’allievo Rodrigo Gonzales rappresentante dell’Istituto Antonio Raimondi di Lima, Ruggero Ravazzolo e il suo gruppo “Brasile ed Italia con passione” il Direttivo Unione Italiani di Lima: vicepresidente UIL Avv. Aldo Cavassa Polack, Fabiola Franco ed Hector Zapatero, vari e molteplici membri dell’Unione Italiana di Lima, la professoressa Laura Di Giuseppe, docente di italiano e traduttrice presso l’università San Marco di Lima.

La veglia e’ iniziata alle ore 22.30 in Italia, 15.30 a Lima ed e’ durata circa due ore, concludendosi con la lettura della preghiera alla Vergine, presente nell’ultimo canto del Paradiso della Commedia, compiuta dalla docente di religione Prof.ssa Nicoletta Degli Innocenti:

Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio,

tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti sì, che 'l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l'amore,
per lo cui caldo ne l'etterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se' a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ' mortali,
se' di speranza fontana vivace.

Donna, se' tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz' ali.

A conclusione della serata I Prof.ri Izzo  e Lodes hanno evidenziato come nel corpus dantesco sia presente l’esortazione a uscire dall’angusta prigione dell’egoismo per riscoprire la pienezza di una vita vissuta in pace e in armonia col prossimo, nell’interiorizzazione di quella che per i cristiani prende il nome di carità e che, per usare una categoria “laica”, è oggi più comunemente conosciuta come solidarietà. Dalle opere dell’Alighieri si coglie un aspetto rilevante della laicità: il suo stretto rapporto con l’impegno politico, a cui tutti i cristiani sono da Dio chiamati. Esso discende dall’essenza stessa del concetto di laicità, e nel corso dei secoli si è caricato di molti significati ed accezioni, non sempre correttamente riconducibili alle sue radici storiche. Nella visione dell’Alighieri, questo concetto viene sviluppato a partire dall’originario significato del termine, partendo dall’evangelico dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio, ossia, da una parte, dalla necessaria distinzione fra la sfera temporale e quella spirituale e, dall’altra ‒ conseguentemente ‒ dalla limitazione dell’agire umano che, in quanto legato all’ambito temporale, non può superare certi confini: la religione non deve politicizzarsi e la politica non deve confessionalizzarsi.

In Dante si trova la giusta consapevolezza che ogni uomo è peccatore e come tale è limitato e imperfetto: su queste basi si sviluppa il suo pensiero sul rapporto fra il potere temporale ed il potere spirituale, e sull’importanza di non mostrarsi passivi – con un evidente richiamo al monito presente negli Atti degli Apostoli ‒ innanzi ai mali della società, come dimostra anche la condanna degli ignavi, di cui al canto III dell’Inferno (vv. 22-69).

Prof. Alessio Lodes
Pordenone (italia)
Email: prof_biblio_lodesal@yahoo.com