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Andreotti, videochiamaci

Por Gad Lerner -Tratto da “Vanity Fair”, n. 46, 2005 - Giangiacomo Feltrinelli Editore

Al record della longevità che già deteneva, Giulio Andreotti ha voluto aggiungerne un altro: è il primo uomo politico italiano che abbia mai recitato da attore protagonista in uno sketch pubblicitario televisivo. Grazie al videotelefonino della “3”, lo vediamo accomodato su una poltrona bianca, non so bene se di un aereo o di un treno, mentre raccoglie l’ammirazione per la sua competenza tecnologica di altri due ospiti abituali di “Porta a Porta”: Valeria Marini e Claudio Amendola. E in effetti il dialogo fra i tre evidenzia lo stesso tono e la stessa inautenticità di quando siedono sulle poltrone di Bruno Vespa a fare la pubblicità occulta di qualche cosa d’altro.

Ma qui è l’Andreotti testimonial recitante se stesso che mi interessa. Dapprima nel vederlo ho provato un certo scandalo, da ben pensante d’altri tempi: signora mia, come siamo caduti in basso se un uomo di Stato per ben sette volte capo del Governo accetta di fare la réclame. Poi il mio moralismo ha indossato i panni dell’analista dei mass media: dunque la contaminazione fra generi, per cui anche la politica deve diventare spettacolo, è già degenerata in una totale perdita di senso?

Chiunque sia famoso in quanto icona televisiva – poco importa se fabbricante di ravioli o senatore a vita – va bene per stamparci in testa quell’insulso “videochiamamiiii”? Infine ho brontolato da militante deluso: va bene che lo hanno assolto nel processo di Palermo, ma possibile che le sue comprovate I relazioni pericolose con la mafia non danneggino per nulla la sua reputazione, trasformandolo in un impresentabile?

Mentre ero lì che scuotevo la testa, ricordando l’unico precedente di un Gorbaciov testimonial della McDonald’s a Mosca, e rimpiangendo la “pubblicità sociale” in cui Telecom esibiva uno straordinario Gandhi – ma proprio ad Andreotti con la Marini dovevamo precipitare! – mi è arrivata la telefonata della responsabile marketing de La7. “Ciao Gad, se te la senti faremmo questa pubblicità per comunicare sui giornali che “L’Infedele” passa dal sabato al mercoledì sera”. Sul bozzetto c’era la mia faccia in fotomontaggio sul corpo del John Travolta ballerino, tutto vestito di bianco, per spiegare che anch’io mi sono fatto prendere dalla febbre del sabato sera e dunque andrò in onda il mercoledì.

Naturalmente quel fotomontaggio è atroce. Naturalmente ho accettato di pubblicarlo. Da giornalista serioso e moralista, non mi sarebbe mai venuto in mente nulla di più efficace per piazzare in una nuova collocazione il mio prodotto. E un po’ di sputtanamento, via, lo si può ben sopportare. Ho letto proprio su “Vanity Fair” che Francesco Cossiga avrebbe voluto recitare anch’egli, come Andreotti, nella pubblicità della “3”. Ma glielo avrebbero impedito le regole dell’Ordine dei giornalisti cui da qualche tempo si è iscritto. Voglio rassicurare l’ex capo dello Stato: a me è già successo di posare con Vittorio Feltri per la casa d’abbigliamento Boggi. Ci stringevamo la mano indossando lo stesso vestito, e sotto c’era scritto: “Finalmente d’accordo”. (Pochi mesi dopo mi capitò di scrivere lo slogan della manifestazione con cui i partiti dell’Ulivo si riunivano per salutare il ritorno di Prodi alla politica italiana: “Finalmente insieme”. Non mi ero accorto di avere copiato dalla Boggi).

L’Ordine dei giornalisti non ebbe nulla a che ridire per la nostra performance pubblicitaria perché i nostri guadagni furono devoluti a sostegno di associazioni non profit. Caro presidente Cossiga, potrebbe fare così anche lei. O non sarà mica che quelli della “3” le abbiano preferito Andreotti? Avrete infine capito che sulla pubblicità televisiva è difficile trovare il moralista in grado di scagliare la prima pietra. Anch’io, nel mio piccolo, potrei riservarvi ancora qualche sorpresa in materia. Direi che è soprattutto una questione di senso e di opportunità. Il senso, lo si è perduto da tempo.