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Ipazia

Non sono tante le donne che hanno avuto la possibilità di distinguersi nella scienza (e purtroppo non solo nella scienza), considerata, fino a non molto tempo fa, appannaggio esclusivo del mondo maschile. Molte hanno dovuto pagare con la vita questa loro passione, quasi fosse una colpa della quale vergognarsi: una donna che con le sue ricerche potesse superare o peggio inficiare i risultati ottenuti dai colleghi maschi, era ritenuta una presuntuosa da relegare in un angolo. 

Fra queste non si può dimenticare Ipazia, vissuta ad Alessandria d'Egitto fra la fine del IV e l'inizio del V secolo. Non che Ipazia si fosse avvicinata da sola agli studi scientifici; fu il padre Teone ad indirizzarla su questa via, come lui stesso ci tramanda; nell'intestazione del III libro del suo commento al Sistema matematico di Tolomeo, troviamo scritto: "Commento di Teone di Alessandria al terzo libro del Sistema matematico di Tolomeo. Edizione controllata dalla filosofa Ipazia, mia figlia". 

Ipazia grande studiosa di matematica dunque, ma, ed è questo l'aspetto più significativo, anche insegnante: "Introdusse molti alle scienze matematiche" ci dice Filostorgio, e numerose altre testimonianze ci attestano addirittura di sue opere autografe, purtroppo però ora scomparse. Pare comunque che una delle discipline in cui Ipazia seppe distinguersi di più fosse l'astronomia. 

Hypatia (1428), afresco de Masolino da Panicale, Basílica de San Clemente, Roma

Hypatia (1428), afresco di Masolino da Panicale, Basílica di San Clemente, Roma.

Ancora Filostorgio e poi Suda, ci informano di interessanti scoperte compiute dalla donna a proposito del moto degli astri, scoperte che ella rese accessibili ai suoi contemporanei con un testo, intitolato Canone astronomico. Ma Ipazia fu anche filosofa molto apprezzata: Socrate Scolatico parla di lei come della terza caposcuola del Platonismo, dopo Platone e Plotino. Damascio ci spiega come seppe passare dalla semplice erudizione alla sapienza filosofica. Pallada poi, in un epigramma, tesse uno degli elogi più belli di Ipazia:

"Quando ti vedo mi prostro, davanti a te e alle tue parole,
vedendo la casa astrale della Vergine,
infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto
Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura".

Quando tracciava una nuova mappa del cielo, Ipazia stava indicando una traiettoria nuova - e insieme antichissima - per mezzo della quale gli uomini e le donne del suo tempo potessero imparare ad orientarsi sulla terra e dalla terra al cielo e dal cielo alla terra senza soluzione di continuità e senza bisogno della mediazione del potere ecclesiastico. 

Ipazia insegnava ad entrare dentro di sé (l'intelletto) guardando fuori (la volta stellata) e mostrava come procedere in questo iter con il rigore proprio della geometria e dell'aritmetica che, tenute l'una insieme all'altra, costituivano l'inflessibile canone di verità. 

Scuola d’Atene, 1509-1511, afresco di Raffaello Sanzio, Musei Vaticani. 

Ipazia poi fu, anche guida spirituale; uno dei suoi più affezionati discepoli, tale Sinesio, così le scrisse, ormai vinto dalla malattia: "Detto questa lettera dal letto nel quale giaccio. Possa tu riceverla stando in buona salute, o madre, sorella e maestra, mia benefattrice in tutto e per tutto, essere e nome quant'altri mai onorato!". 

La vita di Ipazia cominciò ad essere scritta circa vent'anni dopo la sua morte.

Con la morte di Ipazia, si potè considerare distrutta una delle più esemplari comunità scientifiche di ogni epoca. Quello che è strano però, è che nessuno, poi, si sia proclamato suo allievo. Nessun filosofo si dichiarò suo erede. Probabilmente, ipotizza la Beretta, i motivi vanno ricercati nel fatto che Cirillo, considerato dalle fonti principali il responsabile del suo assassinio, "detenne la carica di vescovo della città per i successivi 29 anni (egli, infatti, morì nel 444), nel corso dei quali divenne l'episcopo più potente e temuto di tutto l'impero d'Oriente". 

Ma perché Cirillo odiava tanto Ipazia? Certo, l'invidia (phthonos) per la considerazione e la notorietà che questa donna aveva raggiunto nella sua città giocò un ruolo notevole. Ma le cause del rancore del vescovo di Alessandria contro la nostra filosofa hanno una radice ben più politica e religiosa. 

Nel 391 dopo Cristo, Teodosio aveva proclamato il Cristianesimo religione di stato. Nel 392 fu promulgata anche una legge speciale contro i culti pagani. I cattolici dell'impero romano d'oriente potevano contare quindi sul pieno appoggio del potere temporale, dopo anni passati a professare la loro fede nei recessi delle catacombe. Evidentemente alcuni cristiani, fortunatamente pochi, potendo finalmente divulgare in modo aperto il loro credo, ripagarono i pagani dei torti subiti con altra violenza. 

Hildebrand, Mort de la philosophe Hypatie, a Alexandrie, seconda metà XIX sec.

Cirillo addirittura arrivò ad arruolare dei monaci, torme di uomini, spesso analfabeti, "che vagavano di città in città", scrive Silvia Ronchey nel saggio Ipazia, l'intellettuale, che fa parte del citato Roma al femminile "pieni d'odio sociale non solo contro i pagani ma contro il mondo civile in genere". "Sono costoro", ha scritto Evelyne Patlagen, "che spingono l'impassibilità ascetica alla sovversione". Suida non esita a definirli "esseri abominevoli, vere bestie". 

Il clima sociale di Alessandria d'Egitto era dunque, a cavallo fra quarto e quinto secolo, molto instabile. La comunità cristiana era la più forte e teneva a far valere questo suo potere. Cirillo rappresentava il massimo del potere ecclesiastico, ma Ipazia era il fulcro della cultura, occupando la prestigiosa cattedra di filosofia: "Dopo la morte di suo padre ne aveva ereditato l'insegnamento," annota la Ronchey "ed era un insegnamento estremamente illustre, poiché derivava dal grande neoplatonico Plotino. Le successioni dei professori di filosofia venivano registrate in città come la successione dei vescovi". Ma il vescovo cristiano doveva avere il monopolio della 'parrhesia' (libertà di parola e di azione; ndr)" ha scritto Peter Brown, proponendo, per quanto riguarda Ipazia, un sillogismo molto chiaro: "Se nella fase di passaggio dal paganesimo al cristianesimo i compiti del filosofo e del vescovo vengono a sovrapporsi, che cosa fa il vescovo, se non eliminare il filosofo?". 

La Ronchey non si accontenta di questa spiegazione e va oltre: "Gli elementi in conflitto non sono tanto paganesimo e cristianesimo, quanto le classi dirigenti (locale e romana), le categorie sociali (antica aristocrazia, nuova "burocrazia" ecclesiale), i bellicosi gruppi etnici, nel clima d'instabilità che caratterizza il passaggio dei poteri e l'instaurarsi del cristianesimo nella vita e nelle strutture cittadine del tardo impero romano". 

La figura di Ipazia affascinò molto la letteratura di ogni epoca. E se Socrate Scolastico e Damascio lanciarono delle accuse pesanti ai danni di Cirillo, non mancarono autori che difesero spudoratamente il vescovo cattolico. Fra questi Giovanni di Nikiu, che considera il linciaggio della filosofa una meritata punizione: "Ipazia ipnotizzava i suoi studenti con la magia e si dedicava alla satanica scienza degli astri". La parte conclusiva del suo racconto è al proposito molto esplicativa: "Tutta la popolazione circondò il patriarca Cirillo e lo chiamò nuovo Teofilo, perché aveva liberato la città dagli ultimi idoli". A prescindere dalle prese di posizione degli storici, Cirillo non dovette scontare alcuna pena per l'assassinio di Ipazia. Il monofisismo invece, l'eresia basata sulle sue dottrine, verrà condannato a Calcedonia nel 451. 

Testi consultati:

- Berretta, G. Ipazia d'Alessandria. Roma: Editori Riuniniti Un., 2014;

- M, Moretti Codignona. Ipazia muore. Milano: La Tartaruga, 2010

- A. Petta. Ipazia. Vita e sogni di una scienziata del IV secolo. Firenze: La lepre edizioni, 2013 

Prof. Alessio Lodes
Pordenone (Italia)
prof_biblio_lodesal@yahoo.com