Gli eroi del Brasile
Il 25 maggio del 1582 il Brasile prestava giuramento di fedeltà alla Spagna, divenendone colonia. In Europa lo stesso Portogallo diventò provincia spagnola consegnando lo scettro di "superpotenza" alla grande rivale continentale. Si chiudeva un'era, quella delle prime grandi esplorazioni americane, e se ne apriva un'altra, quella della colonizzazione di terre sempre più vaste nel nome del Cristo e del re. Gli anni ruggenti della Spagna durarono fino la 1621 e furono interrotti dagli olandesi, unici tra tanti europei, a proseguire sulla loro strada di penetrazione commerciale. Scaltri e impavidi, i mercanti Orange, avevano intuito il punto debole della grande potenza e su quello contavano per scalzare il colosso coloniale e per raggiungere il proprio posto al sole. Si trattava del Brasile.
Inizio così in quei primi anni del Seicento una lunga guerra coloniale che vide per protagonisti non tanto le forze spagnole, bensì le truppe italiane inviate in quella lontana terra a difendere i possedimenti della corona. Iniziò così l'epopea napoletana di Pernambuco.
Nella terra del Verzino, i napoletani arrivarono sotto la guida di valenti comandanti. E non solo Sanfelice si meritò gli encomi di eroe. Il destino ibero-lusitano del Brasile passò attraverso le armi e la tenacia dei napoletani che in più di dieci anni sacrificarono la loro vita per conservare quel gioiello sottovalutato del continente americano ai cattolici re di Spagna.
Nel 1624 le Province Unite (l'Olanda) si presentarono sulle coste brasiliane con le navi della Compagnia delle Indie, una formidabile organizzazione di guerra, allestita per fini di conquista. Legata al vincolo della pirateria, la Compagnia contava tra le sue fila nomi di uomini passati alla leggenda della storia corsara. E in quella flotta che giunse a Sao Salvador, per conquistare Bahia, militava Pieter Pieterzoon Hejn, che sarebbe passato alla storia come "O terror do Mar", conoscitore profondo del mare e della guerra di corsa.
Alla formidabile macchina da guerra olandese, la Spagna rispose con poca convinzione ma inviò nelle terre americane una squadra navale nella quale figuravano quattro navi della flotta napoletana.
Le comandava il Marchese di Cropani che al suo fianco aveva il comandante della fanteria Carlo Andrea Caracciolo, marchese di Torrecuso, discendente del famoso Galeazzo Caracciolo. Sottoposti a Caracciolo, sulle quattro navi erano distribuiti altri nomi destinati a entrare nella storia della cruenta guerra brasiliana. Mario Landolfo, Nunzio Oreglia, Ettore della Calce, Giovann Andrea Leonardis, Francesco Tuttavilla, Giovanni Poderico, Pietro Reale, Domenico Mochero, Giuseppe De Curtis,Cola Girolamo Arena, Giovan Domenico Russo, Carlo Dacia, Martino Carlo, Valerio Mormile (conte di Santangelo), Michele da Pontecorvo, Leonardo Costanzo, Marco Aurelio Romano, Agostino de Romanico avrebbero difeso con il loro sangue il vessillo spagnolo combattendo una guerra impari contro forze preponderanti e meglio armate e rifornite. E alla fine avrebbero vinto grazie al genio militare e a una compattezza che soltanto le origini comuni poteva trasformare in vero e proprio eroismo. In tutto, Napoli schierò sulle coste americane 1500 uomini, tutti volontari e giovanissimi. Tutti gli scrittori dell'epoca concordano sul fatto che gli italiani ebbero una parte attivissima ed importante nello sbarco e nell'assedio della città di San Salvador, costellando di atti di eroismo il loro impegno militare. Il soldato Michele Carrera avanzò ad esempio da solo fino a pochissimi metri dalla città abbattendo diverse case che impedivano l'avanzata dei commilitoni.
L'assedio durò per un mese, alla fine del quale gli olandesi alzarono bandiera bianca reclamando la resa. I napoletani lasciarono sul campo nomi scomparsi dal grande libro della storia ufficiale e che meriterebbero ben altro destino dell'oblio: Muzio Santelmo, Giovanni Sampella, Nicolao Tenelli, Paolo Picera, Cesare di Napoli, Nicolao Corzano, Natale Bencaccia, Andrea di Monica rimasero su quel terreno americano sul quale secoli dopo, altri italiani sarebbero passati per cercare la fortuna nell'emigrazione.
Intanto la guerra subì una svolta. Alla resa degli olandesi seguì una nuova spedizione degli stessi, decisi a riscattare la sconfitta e a riconquistare il loro paradiso commerciale. Ad attenderli invece non c'erano forze fresche. La Spagna si dimenticò dei suoi fedeli ed eroici napoletani lasciandoli in balia del loro destino. Tra il 1626 e il 1631 gli italiani furono così costretti a ritirarsi piano piano dalle loro posizioni, incalzati dagli sbarchi dei nemici e dalla loro superiore organizzazione, unita all'alleanza con le terribili tribù indigene (molte delle quali erano antropofaghe). Caddero così nelle mani della Compagnia delle Indie Occidentali le città di Pernambuco, Recife e Olinda e anche Bahia resistette con molta fatica agli assalti. Soli, malnutriti e con scarse armi e munizioni, i napoletani trasformarono quella seconda fase della guerra in una vera e propria guerriglia, cercando di saccheggiare agli olandesi tutto quello che era possibile per la sopravvivenza e per il combattimento. I rinforzi arrivarono soltanto dopo vari mesi (nel 1633) e ai partenopei presenti si aggiunsero nomi del calibro di Olivio Cacciapiedi e Pietro Paloma, che si distinsero in eroismo durante la ritirata delle truppe verso sud di Recife. Trincerati a Santagostino gli italiani diedero altra splendida prova di coraggio militare. Pietro Palma, Vincenzo Mormillo, Roggero Amodio, Pietro Serrano difesero metro per metro la roccaforte e abbandonarono le posizioni soltanto su ordine dei superiori. Morì in questo frangente il gesuita siciliano Antonio Balovia, colpito a morte mentre era intento a confortare i feriti. Nella città di Porto Calvo invece si distinse per grande coraggio Paolo Vernola, capitano dell'artiglieria spagnola, che con il suo comportamento permise agli spagnoli di abbandonare la città senza perdite.
Le sorti della guerra volsero di nuovo agli spagnoli nel 1635, quando a Bahia arrivò una flotta della quale facevano parte Marco Antonio Sanfelice (figlio del comandante), Giovanni Curti, Scipione Carretta e Giovanni Bernardino Corcione, e che portava agli assediati viveri e vettovaglie, nonché un certo numero di soldati. Ora le battaglie si riaprirono in numerosi piccoli scontri che logoravano entrambi i contendenti in una guerra di posizione senza sostanziali mutamenti. Nel 1637 giunse in Brasile la flotta di Maurizio di Nassau, temuto condottiero olandese, per dare il colpo di grazia al piccolo esercito napoletano.
Ma sarebbe stato il prologo della fine per lo stesso comandante Orange. Gli italiani infatti avevano saputo gudagnarsi la stima di Camarao, capo di una potente popolazione indigena, e con il nuovo alleato erano riusciti a respingere gli assalti dei numerosi indios alleati agli olandesi. In questi scontri si distinsero soprattutto Gregorio Catena ed Ettore della Calce, che combatterono l'avanguardia di quella che fu l'ultima battaglia del Brasile. Gli olandesi infatti decisero di chiudere una volta per tutte la questione sudamericana in loro favore e lanciarono all'assalto di Bahia tutte le loro forze, trovandovi i napoletani risoluti a non cedere di un metro. Fu uno scontro impari, con olandesi cinque volte maggiori di numero rispetto agli italiani, ma la cruentissima battaglia venne vinta dalle forze napoletane. I gesti eroici si moltiplicarono a dismisura trasformando l'inferiorità numerica in un'arma eccezionale. E sul terreno rimasero Donato Antonio de Crespa, Silvestro Mirelli, Orazio Salemi, Pompeo Pagano, Pietro Antonio Torpezano, Angelo Francesco, semplici soldati o ufficiali, che avevano scritto ognuno una pagina epica nella lunga e storia del Brasile.
La Spagna, grazie ai suoi eroici napoletani, vinse la sua guerra contro gli Olandesi e mantenne la colonia che, pochi anni dopo la battaglia di Bahia, ritornò sotto la corona portoghese. Ma quei nomi italiani furono dimenticati troppo presto dagli storici, che archiviarono il conflitto sull'onda dei numerosi successivi avvenimenti, e i loro nomi solo a fatica è possibile ritrovarli nei documenti della storia coloniale portoghesi. Eroi per una patria dimentica del loro sacrificio.
IN UN BOX:
I nomi degli eroi italiani (in gran parte napoletani) caduti nella guerra del Brasile o distintisi per atti di eroismo.
Carlo Andrea Caracciolo, Mario Origlia, Mario Landolfo, Pietro di Santo Stefano, Gian Domenico Mancherio, Oliva Cacciapiedi, Paolo Palermo, Pietro Ucenerati, Pietro Paloma, Ortensio Ricci, Francesco Serie, Francesco Tello, Gerolamo Strada, Costanzo Strada, Valentino Strada, Giacomo Isabella, Francesco Quirino, Francesco Terzena, Vincenzo Crescenzio, Pietro Ballanco, Paolo Bellanco, Camillo Parenti, Stefano Santoro, Giuseppe Massa, Pietro Tommasi, Bartolomeo di Napoli, Francesco Antonio Palmieri, Giovanni Barletta, Francesco Turbante, Francesco del Pino, Antonio Balovia, Vincenzo Spano, Giacomo Antonio Pepe, Giovanni Massone, Giovanni Capuano, Nardo Massa, Francesco Medina, Vincenzo Mormille, Rogerio Amadio, Francesco Rossano, Paolo Vernola, Francesco del Pino, Matteo Gallo, Gian Battista Sorrentino, Marco Antonio Sanfelice, Fabio Sanfelice, Ettore della Calce, Giovanni Curti, Scipione Carretta, Gian Bernardino Corcione, Francesco Serrano, Ferrante Caranelli, Gregorio Catena di Santi, Carlo Davino, Silvestre Mirella, Orazio Salemi, Pompeo Pagano, Pietro Antonio Tortesano, Angelo Francesco, D. Antonio Crespo, Antonio Malerva, Carlo Bruno, Francesco Laurino, Flaminio Jovine, Marchese Pallavicino - genovese -, Muzio Santelmo, Giovanni Sampella, Nicola Tenello, Paolo Picerani, Cesare di Napoli, Nicola Corsano, Natale Benincasa, Andrea di Monica.
Generoso D'Agnese
Giornalista, ricercatore e autore.
gedag@webzone.it
Pescara - Abruzzo - Itália