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L'uso del latino

Per chi scrive, è utile sapere da dove viene e com'è fatto l'italiano (allo stesso modo, un cuoco dovrebbe conoscere la provenienza dei cibi che cucina). Non possiamo riassumere cinque anni di liceo in un articoolo, ma abbiamo spazio per rispondere a un paio di domande. Qual è il rapporto del latino con l'italiano? E i dialetti di chi sono figli: del primo o del secondo?

Sulla prima questione Bruno Migliorini - un grande linguista che aveva il dono della chiarezza e il gusto della pubblicazione - è chiaro. In una delle conversazioni radiofoniche raccolte nel 1949 spiega che il rapporto tra latino e italiano parlato si può riassumere in una parola: continuità.

Trasportiamoci con la mente in un villaggio di Toscana e immaginiamo di essere messi in grado di ascoltare, di generazione in generazione, di secolo in secolo, la lingua che vi si è parlata dall'età romana, cioè da quando è scomparso l'ultimo vecchio che parlava etrusco, fino ad oggi. 

Di padre in figlio si sono avuti mutamenti ben lievi: qualche suono si è cambiato, un certo numero di vocaboli hanno sostituito altri vocaboli o sono venuti ad aggiungersi al patrimonio lessicale ereditario: ma insomma non vi è mai stato un momento in cui i parlanti abbiano avuto coscienza di esprimersi in una lingua diversa da quella dei loro genitori. Né è lecito a noi fissare questo momento se non scegliendo arbitrariamente qualche particolarità e dicendo: "Qui finisce il latino e comincia l'italiano".

Per la lingua scritta, è diverso. Nell'abbazia di Montecassino è conservato un documento del 960: tutto in latino, fuorché una formula italiana ripetuta quattro volte (Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti). Il notaio riporta testualmente le parole in volgare pronunziate dai testimoni, che dichiarano di sapere come, da trent'anni almeno, i monaci benedettini possedessero i beni descritti. Com'è noto, è la più antica testimonianza di italiano scritto.

Sempre Migliorini: "Qui fra le due lingue c'è una distinzione ben netta: il notaio sa di scrivere e vuole scrivere in latino, ma, arrivato al punto in cui i testi depongono, riporta testualmente le parole in volgare. Di secolo in secolo, lentamente e quasi insensibilmente, il latino parlato si era mutato in italiano; ma per le scritture si era continuato sempre a usare più o meno correttamente il latino, rimasto presso che immobile". 

Quando a un certo punto si è indotti a mettere in carta qualche frase di quella lingua che effettivamente si parla, il confronto fra il latino rimasto cristallizzato e il latino che si è mutato, salta agli occhi. Quindi, lode ai notai, pronti, a registrare la realtà. Diciamo che l'italiano parlato si può paragonare a un film, ed è costituito da una serie ininterrotta di fotogrammi; l'italiano scritto, invece, è fatto di fotografie scattate a distanza di tempo. Immaginate un vostro ritratto a tre anni, a quindici, a trenta e a settanta: la differenza sarà evidente.

E i dialetti? Nascono dalla trasformazione del latino parlato; non dell'italiano. 

Tra tutti, com'è noto, se n'è imposto uno, il toscano, che s'è lentamente trasformato nell'italiano moderno. Come è accaduto? 

Ancora Migliorini: "Ci si consenta una similitudine. Immaginiamo una foresta in cui per alcuni secoli alcune centinaia di piante della stessa specie ma di diversa varietà si siano riprodotte spontaneamente. Supponiamo ora che, a un dato momento, intervenga un arboricoltore che scelga la varietà più pregiata e innesti con marze di quella varietà tutte quante le altre. Questo pressappoco è avvenuto in Italia, dopo che i tre grandi trecentisti, Dante, Petrarca, il Boccaccio, hanno elevato il fiorentino illustre al più alto fastigio. Negli ultimi decenni del Quattrocento e nei primi del Cinquecento tutti cercano di conformarsi ai modelli letterari offerti da quei tre grandi".

Nell'italiano moderno sono evidenti contributi di molte altre regioni.

Qualche esempio, giusto per capirci:

- la Liguria ci ha dato boa, scoglio e molo - il Piemonte bocciare a scuola (a Firenze, schiacciare)
- l'Emilia il birichino e il mezzadro 
- la Lombardia molte ragazze mica male 
- Venezia il catasto e la gazzetta – 
- Roma il pupo e la racchia 
- Napoli pizza, vongole e mozzarella

Ora che abbiamo le idee più chiare, possiamo decidere: per scrivere in modo efficace, serve conoscere i dialetti, i classici italiani e il latino? Risposta: male non fa. Per tornare alla similitudine del cuoco: è utile sapere che il sale viene dal mare e il burro dal latte. Aiuta a dosare, a cucinare, a servire in tavola.

Testi consulati:

- Cavazza, F. Lezioni di indoeuropeistica con particolare riguardo alle lingue classiche (sanscrito, greco, latino, gotico). Pisa: Edizioni ETS, 2001;
- Formigari, L. Il linguaggio. Storia delle teorie. Roma-Bari: Laterza, 2001;
-  Lazzeroni, R. Linguistica storica. Roma: Carocci, 1987;
- Lepschy, G. La linguistica del Novecento. Bologna: Il Mulino, 2000;
- Migliorini, M. L'italiano di oggi. Milano: Il Mulino, 2000;
- Ramat A. G., Ramat P. (a cura di). Le lingue indoeuropee. Bologna: Il Mulino, 1988;

Prof. Alessio Lodes
Pordenone (Italia)
prof_biblio_lodesal@yahoo.com