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Mediterraneo del Sud-Est: poveri e inquinati

Il nuovo "Rapporto sulle economie del Mediterraneo" dell'Issm-Cnr rimarca che il divario fra le due sponde continua a crescere. E che i paesi meno ricchi sono anche i più colpiti dal degrado ambientale

La fotografia che arriva dal ‘Rapporto 2007 sulle Economie del Mediterraneo’ dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Issm-Cnr) di Napoli presenta tra le regioni che si affacciano sulle due sponde diversità sempre più stridenti sul piano delle condizioni economiche e sociali, aggravate da problematiche ambientali legate alle dinamiche demografiche e di sviluppo.

“Sulla riva Nord mediterranea, ad esempio, la perdita di aree boschive si è rallentata notevolmente”, spiega Paolo Malanima, direttore dell’Issm-Cnr, “mentre nelle rive Sud ed Est la crescita della popolazione ha provocato la messa a coltura di nuove terre, con conseguente disboscamento aggravato dall’uso del legname come combustibile”. Nel decennio 1990-2000 la diminuzione media annua delle superfici boschive in Egitto e Israele ha raggiunto punte del 3,3% e del 4,9%, contro lo 0,3% di Italia e Francia, lo 0,2% della Slovenia e lo 0,1% della Croazia”. La tendenza ha fatto sì che le aree forestali siano ormai localizzate per l’80% nel versante europeo del Mediterraneo (le più estese si trovano in Portogallo e in Italia), a fronte di un esiguo 20% nel versante afro-asiatico.

Anche le risorse idriche, secondo l’Issm-Cnr, sono concentrate essenzialmente nella riva settentrionale. L’Arco Latino (Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Malta) e la Conca Adriatica (Albania, Bosnia, Croazia, Serbia e Montenegro, Macedonia, Slovenia) appaiono ricchi di acqua, con disponibilità idrica particolarmente elevata, dai 16 mila ai 22 mila metri cubi annui pro-capite, in Slovenia, Serbia e Croazia. Libia, Giordania, Israele e Gaza presentano, invece, una disponibilità inferiore ai 500 m3 annui che colloca questi paesi nella fascia di forte penuria.
Altra emergenza ambientale mediterranea, la desertificazione. “Nel versante africano e asiatico la distruzione della copertura vegetale, causata dall’eccessivo sfruttamento di pascoli e terre agricole, riduce l’umidità del terreno e alimenta tale fenomeno soprattutto nel Sahel, tra le fasce a nord e a sud del Sahara”, prosegue il direttore dell’Issm-Cnr. “Il processo coinvolge anche il Maghreb: in Marocco, Tunisia e Libia le aree desertiche arrivano al 75% e le restanti zone sono a rischio di desertificazione per l’85%”. Il Rapporto sottolinea però che anche il 60% circa delle zone aride in Grecia, Spagna e Italia corrono tale rischio.

Essere più poveri, insomma, non significa disporre di un ambiente meno inquinato. “Sebbene le emissioni di biossido di carbonio (CO2) nell’atmosfera provengano essenzialmente dall’Europa Mediterranea (Italia in testa con l’1,8% delle emissioni mondiali, seguita da Francia e Spagna con l’1,5% e l’1,2%, contro lo 0,9% di Turchia e lo 0,6% dell’Egitto), i loro effetti negativi interessano aree ben più ampie, inclusi i paesi che meno hanno contribuito a generarle”, dice Eugenia Ferragina dell’Issm-Cnr. “Inoltre le emissioni di origine industriale sono proporzionalmente più forti nella riva Sud (in Egitto industria e edilizia contribuiscono al 30,6% delle emissioni totali, in Francia solo al 21,6%) dove maggiore è l’incidenza dell’industria pesante, chimica petrolchimica, di raffinerie e siderurgia e dove manca una normativa ambientale adeguata”.

La carenza di reti idriche e fognarie, poi, provoca nella riva Sud l’inquinamento dei corsi d’acqua superficiali e delle falde, con gravi conseguenze sul piano igienico-sanitario. Così come la diffusione dell’agricoltura intensiva e l’aumento delle superfici irrigue (passate negli ultimi 40 anni nell’area mediterranea da 11 milioni a 20 milioni di ettari, di cui 12 milioni nella riva Sud), hanno fatto registrare pesanti ricadute sempre sulle falde acquifere, ad opera di fertilizzanti e pesticidi. “Mentre in Francia e Italia l’impiego di fertilizzanti per ettaro ha subito un calo tra il 1981 ed il 2000”, prosegue la ricercatrice, “nello stesso periodo in quasi tutti i paesi della sponda meridionale si è registrato un incremento, particolarmente elevato in Giordania (da 404 a 882 grammi per ettaro)”.

“In questo contesto, caratterizzato da profondi divari anche nelle capacità di affrontare i rischi ambientali tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo”, conclude Malanima, “è importante sperimentare nuove forme di cooperazione che permettano il trasferimento di tecnologia e conoscenze scientifiche per una più intensa integrazione fra le due sponde dell’Unione Europea”. (CRN)