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Società e costume

Come si può diventare adulti saggi e responsabili in una società come la nostra, che è percepita dagli stessi giovani vuota e incerta? Sembra che i giovani abbiano perso il confine con l’età adulta per la loro tendenza a prolungare tempi e ritmi di crescita, a rimandare decisioni e scelte, a non sapere come vivere il proprio tempo: sono pochi quelli che riescono a viverlo in maniera progettuale, come tempo da programmare attivamente. Anche se incontriamo giovani maturi e responsabili, è molto più alto il numero di coloro che manifestano sintomi di disagio profondo. Le giovani generazioni sono da sempre anticipatrici delle tendenze future e, proprio per questo, rappresentano un soggetto di riferimento per chi intende progettare la società di domani. Bisogna sempre fare molta attenzione, quando si parla di giovani, a non passare subito alla generalizzazione di esperienze parziali. Mai come oggi si parla così tanto dei giovani e si parla così poco coni giovani. Per conoscerli bisogna passare del tempo con loro, bisogna stare in mezzo a loro, ascoltarli. Anche quello che dirò non ha la pretesa di esaurire tutte le possibili linee di tendenza del mondo giovanile nell’ultimo decennio1; mi limiterò a sottolineare alcune caratteristiche che, a mio avviso, hanno maggiore rilevanza pedagogica. Mi riferirò alla cosiddetta “Generazione Y”2, una popolazione di giovani cresciuti nell’era di Internet e dell’iPod, che vive le contraddizioni dell’inserimento in un mercato del lavoro caratterizzato da lavori flessibile precari.

Focalizzerò la mia attenzione su alcuni aspetti che ritengo non possano essere ignorati dagli adulti che oggi si occupano della formazione dei giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni, soggetti che quindi si trovano nell’età post-adolescenziale3. A mio modo di vedere, le caratteristiche di questa generazione che ri-chiedono una più attenta considerazione pedagogica si possono così enunciare: attenzione all’immediato e a ciò che coinvolge emotivamente; tendenza a rinviare le scelte per insicurezza e per mancanza di progettualità; senso di “precarietà perenne” che divora il tempo ai giovani e offre la realtà di una vita in “stato di emergenza continua”; frammentazione dell’identità personale e ricerca di evasione dalla realtà quotidiana; familiarità a comunicare mediante i nuovi media e le tecnologie digitali. Gli interessi della nuova generazione sono per lo più limitati all’immediato, a ciò che può essere colto senza fatica e che suscita una risonanza emotiva sensibile.

Effettivamente, il mondo dei giovani di oggi è caratterizzato dalla dominanza del presente con un’enorme difficoltà a collocare le scelte personali in una prospettiva temporale di lungo periodo conservando la coerenza. Molti preferiscono rinviare le scelte definitive e ritardare quindi l’ingresso nella vita adulta, con la corrispondente assunzione di impegni definitivi; non si sentono obbligati a compiere scelte fondamentali Molti giovani vivono senza futuro. Subiscono la delusione della gene-razione precedente, che ha creduto alla “promessa” di “onnipotenza” della scienza, la quale continua ad assicurare – sciaguratamente – di poter risolvere tutti i problemi degli uomini. I loro genitori hanno rinunciato al proprio ruolo di educatori e quindi i figli, non “contendendo” più con loro, non hanno più un “muro elastico” su cui provare le proprie idealità:genitori e figli naufragano insieme in fantasie angosciose provocate da minacce oscure, che cancellano il futuro e lo annullano in un presente in cui si annaspa, alla ricerca di un salvataggio, ciascuno per proprio conto.

Accade allora che i giovani di oggi siano quasi obbligati a verificare il desiderio istintivo di onnipotenza nella “strada” o nella realtà virtuale, sfidando le leggi del vivere civile o – nel migliore dei casi – esercitandosi a “vincere” le battaglie simulate nei videogiochi e nella “rete” in generale dove tutto sembra possibile ma nulla è reale, dove comunque la violenza è assorbita pericolosamente come gioco. Per molti adulti un’attenzione critica ma non svalutativa verso i com-portamenti dei giovani risulta problematica e gravosa: si tende a mettere in risalto episodi negativi (violenza, teppismo) di cui essi sono protagonisti, traendone frettolosi giudizi generalizzati sul “vuoto morale delle giovani generazioni”. Si dice che allo scarso impegno nello studio corrisponde un capovolgimento delle categorie cognitive a cui i giovani attingono per acquisire un bagaglio culturale di base: la sistematicità è stata sostituita dall’occasionalità, la razionalità dall’emotività, il senso critico dal consenso di gruppo, la tradizione dalla moda. I modelli culturali di riferimento sono attinti per lo più ai mezzi di comunicazione sociale, dalle associazioni giovanili, dal mondo della mu-sica, dello sport e dello spettacolo: il loro impatto su personalità che stentano a strutturarsi secondo  categorie  logiche  di  tipo  razionale  e consequenziale è fortemente impregnato di una dimensione emotiva.

A mio modo di vedere, la differenza principale tra la generazione giovanile attuale e quelle precedenti, che compivano scelte precise con priorità chiare, consiste nella propensione odierna a vivere insieme aspetti della vita a volte contraddittori, senza stabilire una gerarchia nei propri bisogni e valori. Se i giovani oggi avvertono in modo esasperato il bisogno di fare delle nuove esperienze da soli (il che, quando rientra nei limiti del buon senso, costituisce da sempre un fattore di crescita umana), forse la causa andrebbe ricercata nella carente trasmissione di valori e insegna-menti da parte degli adulti. Molti giovani credono che non si sappia nulla di questa vita e che tutto sia da scoprire e da “inventare”; per questo presentano spesso un’identità vaga e perciò flessibile di fronte alla molteplicità delle sollecitazioni sociali, siano esse dannose o al contrario fruttuose. Nella società del frammento e dell’individualismo – dove la famiglia non è più anche “normativa”, ma sempre più diventa solo “affettiva” – si vengono a indebolire i punti di riferimento normativi e i processi di so-cializzazione si fanno sempre più flessibili e adattativi. Non meraviglia pertanto che un’altra caratteristica della condizione giovanile attuale sia la frammentarietà: l’esperienza di vissuto personale è divisa in tanti frammenti isolati, come pezzi di un puzzle senza cornice, scollegati da una logica «vocazionale» di senso e di valori a sostegno dell’impegno civile. I giovani d’oggi sono, come le generazioni precedenti, capaci di generosità, solidarietà e dedizione se sono motivati da una causa; ma hanno meno riferimenti sociali e senso d’appartenenza dei loro predecessori.

Prendono i loro punti di riferimento un po’ dappertutto, per poi sperimentarli nel loro modo di vivere. Rischiano di cadere nel conformismo delle mode, lasciandosi impregnare come spugne, piuttosto che costruirsela loro libertà partendo dalle ragioni di vivere e d’amare, il che spiega la loro fragilità affettiva. Come è ben noto a tutti i pedagogisti, le difficoltà notate nei giovani trovano la loro ragione più profonda negli errori educativi commessi dagli adulti nei confronti dei bambini, dei ragazzi e degli adolescenti: per esempio, quando gli adulti hanno fatto di tutto perché ai loro “piccoli” non mancasse nulla, li hanno indotti a credere di dover soddisfare tutti i loro desideri, confondendoli con i bisogni reali. Non avendo fatto l’esperienza della mancanza di “qualcosa”6, i giovani sono indecisi e incerti e fanno quindi fatica a differenziarsi, a distaccarsi dagli abituali oggetti di riferimento per vivere la propria vita. C’è da domandarsi seriamente se la società degli adulti, di fronte alle difficoltà di scelta delle nuove generazioni, sia in grado di educare alle scelte oppure si lasci trascinare nel vortice della mentalità consumistica, dove una sorta di self service valoriale perpetua la logica del ‘fai da te’. Come aiutare i giovani, nonostante le difficoltà, a non lasciarsi scoraggiare, a non rinunciare ai loro sogni? I problemi dei giovani richiedono un atteggia-mento di vigilante attenzione da parte di coloro che sono coinvolti in prima persona nel processo della loro formazione.

I giovani appartenenti alla “Generazione Y”, nati a partire dagli anni Ottanta, figli della generazione dei baby boomers, costituiscono una popolazione particolarmente critica. Si tratta di giovani che, inutile negarlo, sono dipendenti da internet; sono stati sfamati da tv, cellulari, chat, Facebook; non sono abituati ad affrontare le difficoltà sul lavoro, e tanto meno l’in-certezza. Ottimisti, ma sfuggenti e un po’ cinici. Sono queste alcune delle caratteristiche distintive dei giovani italiani nati negli anni Ottanta secondo quanto emerso da una recente ricerca realizzata dall’Area Giovani della Fondazione Istud. Per quanto riguarda gli orientamenti lavorativi, i giovani italiani ambiscono a inserirsi in una grande azienda multinazionale, tecnologicamente evoluta, che consenta loro di viaggiare e che favorisca una comunicazione aperta con i colleghi e con la gerarchia.

A questa marcata ambizione, che costituisce una sorta di “sogno collettivo” per i giovani italiani, non corrisponde, tuttavia, un’altrettanto forte disponibilità a sostenere sacrifici per perseguire tale obiettivo. «Siamo la generazione del “tutto e subito”», hanno dichiarato alcuni dei giovani intervistati nel corso della ricerca, sottolineando con questa frase un elemento di forte discontinuità rispetto ai propri genitori. Ulteriore tratto distintivo della Generazione Y è l’utilizzo intensivo dei mezzi di comunicazione: i giovani amano essere costantemente “con-nessi” e vedono nelle nuove tecnologie una risorsa importante attraverso la quale ampliare la loro dimensione sociale e relazionale. I dati analizzati confermano il fatto che le tecnologie sono un driver fondamentale nel definire gli orientamenti di questo segmento di popolazione italiana. Per gli autori della ricerca appena citata è possibile definire i nati negli anni Ottanta anche come una Generazione “unisex” per quanto riguarda obbiettivi e aspirazioni, alcune variabili legate al contesto familiare e agli stili di vita. Le differenze emerse nei focus group si possono ricondurre fondamentalmente al ruolo svolto dai genitori, che sono in grado di influenzare o condizionare le scelte dei propri figli. In generale, i genitori restano per i giovani un punto di riferimento fermo e incarnano un modello di vita basato sui valori della famiglia, del sacrificio e del lavoro. I giovani di oggi guardano a questo modello con riconoscenza ed ammirazione, ma al tempo stesso lo considerano distante da loro e non replicabile. Due sono le ragioni principali alla base di questa considerazione: da un lato, la minor disponibilità al sacrificio che i giovani riconoscono in se stessi rispetto ai propri genitori; dall’altro lato, il mutatocontesto sociale, economico e lavorativo, che non offre più la certezza diveder ripagati nel lungo periodo gli sforzi e i sacrifici di una vita.

I giovani di oggi sono considerati dall’opinione pubblica per lo più apatici,senza obiettivi precisi, persone che non vogliono crescere, non vogliono prendersi le proprie responsabilità e non si sentono pronte a scendere in prima linea neppure per difendere i propri diritti. Si tratta, secondo me, di una generalizzazione indebita, ma costringe noi adulti ad interrogarci sul tipo di cultura che abbiamo finora offerto ai giovani. La cultura dell’“istante” consiste nella rottura e dissoluzione di ciò che “ha un tempo”, del filo che unisce il passato, il presente e il futuro. Ciò che importa veramente è l’istante. Ciò che accomuna i giovani di questa generazione è l’estrema focalizzazione sul presente: i giovani, infatti, con-centrano i propri sforzi soprattutto nel perseguimento di obiettivi di breve, a volte brevissimo, termine. Etichette quali “presentismo”, “hic etnunc”, “tutto subito” sono frequentemente utilizzate dagli stessi giovani per descrivere gli orientamenti e le caratteristiche principali della propria generazione, e la tendenza ad eludere ragionamenti ed impegni di lunga durata. Quello che non accade in questo momento presente non esiste.

La storia è vista come una leggenda che non riesce ad illuminare il presente liberandosi dal passato, con maggiore facilità ci si libera del futuro, che ancora non è arrivato e che non si sa se arriverà. Senza passato e senza fu-turo si può conoscere solo l’instante presente. Questa visione non per-mette di prevedere, non permette di anticipare gli eventi. Non è possibile proiettarsi nel futuro e prevedere realisticamente come potranno realizzarsi i  progetti; ma neppure è possibile fare buon uso dell’esperienza del passato. Françoise Sand aveva definito i giovani della generazione “X”una «generazione mongolfiera», che galleggia nel tempo senza fretta di atterrare. Per la generazione successiva, denominata “Y”, si assiste ad un’estensione smisurata dell’età adolescenziale, al punto che si parla di «società adolescentrica». I “post-adolescenti” evitano di proiettarsi nel futuro non tanto per prevenire una possibile angoscia provocata da incertezze sociali ed economiche, ma perché a livello psicologico non sono capaci di prevedere e valutare né la fattibilità dei loro progetti né le conseguenze delle loro azioni a distanza di anni, dato che vivono unicamente nel presente. Non sanno inserire la loro esistenza in un progetto a lungo termine – o hanno paura di farlo – e quindi sono incapaci di avere il senso dell’impegno duraturo in moltissimi campi. Vivono più facilmente nella contingenza e nell’intensità di una situazione particolare, che nella costanza e continuità di una vita che si elabora nel tempo. Il “quotidiano” appare come un’attesa di momenti eccezionali, invece d’essere lo spazio in cui si tesse l’impegno della propria esistenza. Invece di ricollegare la propria esistenza associando passato, presente e futuro, molti giovani vivono in una sorta di immediatezza senza fine; così passano da un istante all’altro, da un avvenimento a un altro, attraverso situazioni scelte all’ultimo minuto fino al momento in cui si pongono la questione della coerenza fra tutto ciò che vivono, sempre che non costruiscano la propria esistenza in maniera così frammentaria da non riuscire neppure a fare ogni tanto una sintesi valutativa. Il tempo si riduce infatti ad un insieme di istanti slegati, che la coscienza umana non è in grado di collegare ed integrare in un’unità di senso che possa essere fondamento dell’identità personale.

Se tutto è ridotto a mero istante, l’uomo non può ricordare nulla, non può fare nessun riferimento al passato e non è in grado di progettare il futuro. Un giovane immerso nella “cultura dell’istante” non dispone delle necessarie coordinate di riferimento per orientarsi nella realizzazione diun progetto di vita; a volte non è neanche capace di promettere perché non sa che significa impegnarsi per il futuro. Ogni istante è percepito differente rispetto all’istante che lo ha preceduto e all’istante che segue; ma queste differenze istantanee condannano il giovane all’indifferenza verso qualsiasi tipo di legame e quindi lo rendono incapace di creare vincoli duraturi con altre persone. L’uomo si riduce ad un insieme di istanti differenti, isolati e scollegati. Tutto ciò porta con sé quasi sempre un senso di vuoto interiore. Se si riduce il tempo all’istante si toglie all’uomo la sua capacità di essere fedele. L’uomo senza vincoli e senza impegni vive nella totale autonomia e non ha altra scelta che quella di vivere unicamente per se stesso. La scelta dell’istante, o meglio del “piacere dell’istante”, reprime nel giovane, così come nell’adulto, la sua capacità di scegliere qualcosa in modo definitivo. Giovani sempre più ‘indecisi’ e senza progettualità.

La difficoltà più grande che incontrano oggi i giovani della generazione Y si manifesta nel momento delle scelte; si nota in essi quasi una paura di prendere decisioni impegnative. Se si osserva il comportamento di numerosi giovani, si avverte la loro mancanza di convinzioni e l’assenza diun progetto di vita che implichi scelte definitive. Questo comportamento spesso è determinato dal fatto che molti giovani sono convinti che le scelte definitive siano un limite alla libertà e pensano perfino che siano impossibili; per questo motivo rinviano le scadenze e vivono nella provvisorietà, non sapendo se potranno portare a compimento quello che hanno iniziato a fare. Quando si sta con loro, si percepisce in molti un diffuso analfabetismo etico: una mancanza di ap-prezzamento per significativi valori di riferimento e un’incertezza nelle forme di argomentazione morale. Durante l’infanzia, le loro attese e i loro desideri sono stati talmente sollecitati a scapito delle realtà esterne e delle esigenze obiettive, che han-no finito per credere che tutto possa essere manipolato unicamente in funzione dei propri interessi soggettivi. Poi, all’inizio dell’adolescenza, in mancanza di risorse sufficienti e di un sistema di puntelli interiori, essi hanno tentato di sviluppare legami di dipendenza in rapporti di gruppo o di coppia. Una volta diventati giovani, tendono più a un’espansione narcisistica che a un vero e proprio sviluppo personale, il che crea spesso personalità sicuramente plastiche e simpatiche, ma a volte anche superficiali, se non insignificanti, che non sempre hanno il senso del limite e della realtà. Dinanzi all’improvviso risvegliarsi dei sentimenti, delle voglie, dell’attrazione o repulsione per una determinata persona, oggetto o circostanza,il giovane alla fine decide: ma come? Egli ha bisogno di qualcuno che lo aiuti a riflettere prima di agire, ma non sempre lo trova. Perché le singole scelte risultino buone occorre indubbiamente che ci sia la maturità sufficiente per farle, che ci sia un progetto globale di vita, che ci si decida per esso e che sia pianificato il modo di attuarlo.

Le prime decisioni che i giovani devono imparare a prendere da soli riguardano il lavoro, i rapporti in famiglia e i rapporti sociali. Tali decisioni vanno prese dopo aver giudicato persone e avvenimenti, anche se si devono affrontare situazioni di conflitto, adattandosi a cambiare rotta, dopo aver riflettuto sui valori che si considerano importanti nella propria vita. Il prolungamento dell’adolescenza e l’estendersi di una fascia di età che si dilata sempre più verso l’età cronologicamente adulta, senza tuttavia essere realmente tale, contribuiscono a creare una condizione giovanile che vive l’esistenza in una dimensione di incertezza, non solo decisionale ma anche di orientamento valoriale. E tale incertezza riguarda non sol-tanto il futuro, ma anche il presente. Il ritratto che emerge dall’insieme delle indagini svolte nell’ultimo decennio è quello di giovani che, pur conservando un senso positivo della vita e del futuro, pur avendo una forte spinta interiore verso la realizza-zione di progetti personali, incontrano enormi difficoltà nel fare scelte di vita durature e significative per la loro esistenza.

La dilazione e il rimando, l’indecisione cronica di fronte alle scelte fon-danti, l’ancoraggio a opzioni che danno sicurezza e stabilità, come pure la diffusione della convinzione dell’assoluta reversibilità delle scelte nella maggioranza dei giovani, che non credono alla possibilità di scelte decisive per l’intero arco della vita, costituiscono degli indicatori a dir poco preoccupanti, segno di un’identità troppo debole per potersi assumere la responsabilità della direzione da dare alla propria vita. La presenza di questo genere di difficoltà nei giovani di oggi non stupisce se si considera che i giovani della generazione precedente sono stati definiti giovani dall’identità incompiuta, i quali mostravano già di non possedere né una propria autonomia decisionale e relazionale – se non in comportamenti prevalentemente esteriori – né un sistema autonomo di progetti e di valori, continuando ad esplorare tutte le possibilità molteplici e diversificate offerte dalla società senza riuscire a passare all’impegno, in-capaci perciò di fare scelte a lungo termine e di impegnarsi con continuità per qualcuna di esse. Dinanzi a tante alternative, tutte possibili e in continua evoluzione, non esistono per i giovani di oggi dei punti di riferimento stabili sui quali poggiarsi.

La possibilità di apertura e di rischio sempre più ampia risulta problematica in una generazione che cresce in autonomia, ma anche indipendenze regressive e frustranti. L’esiguità del carattere direttamente ‘esperienziale’ della vita, e del suo aspetto relazionale-affettivo in particolare, spesso quasi soltanto ridotto al virtuale, può generare esperienze di profonda solitudine e di “povertà” affettiva, talvolta non riconosciute come tali. Oggi l’elaborazione di un percorso di piena acquisizione della propria identità e di un personale progetto di vita, nelle sue linee portanti e nei suoi aspetti decisivi e irreversibili, tende ad essere rinviato sempre in avanti, sia per le difficoltà sociali che impediscono il conseguimento dell’autonomia individuale in tempi ragionevoli, sia per la paura di scelte definitive, preferendo lasciare aperta la porta ad altre eventuali opportunità. In una società che, per diverse ragioni, coltiva il dubbio e il cinismo, la paura e l’impotenza, l’immaturità e l’infantilismo, molti giovani tendono ad aggrapparsi a modalità di gratificazione primarie e hanno serie difficoltà a diventare persone mature. A volte chiedono l’aiuto dei genitori, pur provando un certo disagio nei loro confronti.

La maggior parte di essi continua a vivere con i genitori, mentre altri, che sono andati a vivere da soli, ne sono ancora dipendenti. Hanno spesso bisogno di essere sostenuti per accettare se stessi, per affrontare la vita per come si presenta e per cominciare ad incidere positivamente nella realtà. Molti giovani si affidano completamente al gregarismo del gruppo dei pari, ritrovandosi ben presto in crisi per la fragilità dei rapporti interni adesso. Questa situazione conduce, come inevitabile conseguenza, ad una profonda e reale solitudine: perciò si cerca la sicurezza in casa, dai genitori sempre disponibili, dimostrando così mancanza di progettualità e di fiducia in se stessi. Vi sono oggi giovani impegnati in processi di maturazione caratterizzati da una condizione di moratoria, ossia da una sospensione delle scadenze e degli obblighi legati al passaggio alla vita adulta. Non a vendo particolare desiderio di diventare adulti, molti vivono la loro gioventù non come una fase propedeutica all’ingresso nella vita adulta, ma come un periodo di tempo che ha valore in sé e per sé. Nel passato invece, il periodo della giovinezza era vissuto in funzione della vita successiva e di un’esistenza autonoma: la gioventù era percepita come una tappa preparatoria all’assunzione di impegni socialmente rilevanti.

Paradossalmente molti giovani di oggi credono di restare liberi non impegnandosi affatto nell’esercizio della libertà morale. Siccome la prolungata vita da single li abitua a vivere e a organizzarsi da soli, fanno poi fatica ad accettare in maniera continuativa la presenza di un altro nella loro vita quotidiana: entrano in ansia e hanno la sensazione di perdere propria libertà. propria libertà. Alternano quindi periodi di vita in comune ad altri in cui vivono da soli. A 35 anni alcuni pensano ancora di non essere maturi né pronti per impegnarsi nella vita matrimoniale, di aver bisogno di altro tempo per decidersi; ma più il tempo passa, meno diventano capaci di legarsi stabilmente a una persona, che peraltro pensano di amare.

Oggi l’universo giovanile è quanto mai frammentato, magmatico, complesso da comprendere e di difficile definizione, anche perché i giovani stessi non si dimostrano molto interessati a farsi capire dagli adulti. Le mode, i miti, i luoghi comuni, i pregiudizi e le ideologie passeggere costituiscono una tela sottilissima in cui i giovani rimangono avviluppati e da cui con difficoltà riescono a liberarsi per realizzare i propri progetti, con conseguenze negative sul senso di autostima e di autoefficacia. Il bisogno di consenso porta a volte il giovane a schierarsi acritica-mente in un gruppo, senza assumere una posizione personale. Si crea così una forma di schiavitù dal giudizio altrui causata dalla paura di fallire e di essere emarginati. I mezzi di comunicazione sociale segnalano con una certa frequenza la diffusione in gruppi giovanili di forme comuni di disonestà, come il mentire, l’ingannare, il truffare, il rubare, l’approfittare dell’ingenuità o della debolezza altrui. Si diffonde la tendenza a non rispettare e a non obbedire a chi esercita una legittima autorità, in ciò che è necessario per ilbene comune e per quello di ogni singola persona.

Accanto a un’accentuata precocità delle esperienze sessuali, si notano crescenti forme di egoismo ed egocentrismo. Si avverte il declino dell’etica dell’impegno nel lavoro. Gli adulti rappresentano, nell’immaginario giovanile, un ideale di impegno e di disponibilità al sacrificio, un modello di approccio “etico” al lavoro del quale i giovani riconoscono il valore, ma che non sono di-sposti a fare proprio. Tutto questo predispone i giovani a vivere in un mondo immaginario, senza contatti con una realtà che hanno imparato a conoscere come deludente e deprimente. Hanno un approccio ludico alla vita, un bisogno di fare baldoria, soprattutto nel week-end, senza neanche saper bene per-ché; in questo modo cercano ambienti totalizzanti e sensazioni che diano loro la percezione di esistere. Resta tuttavia da appurare se queste esperienze creino o meno rapporti interpersonali autentici e se contribuiscano all’ arricchimento affettivo e intellettuale dei giovani. Si nota in questa generazione una certa ambivalenza perché vogliono trovare il modo di entrare da protagonisti nella realtà che li circonda e contemporaneamente di fuggirla. Complessivamente, rispetto alle generazioni giovanili degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, i giovani italiani del primo XXI secolo sono molto meno propensi alla partecipazione alla vita civile e politica. Già a partire dalla metà degli anni Ottanta si era iniziata a notare la frammentazione del “tempo psichico” (Cavalli,1985) nella vita quotidiana, cioè l’allentarsi dei legami esistenti tra le diverse esperienze vissute e distribuite nel passato, con il contemporaneo affermarsi del “presentismo”, interpretato come una sorta di sospensione illimitata del tempo reale, con scarsa capacità di progettazione del futuro, per mancanza di orizzonti credibili.

All’inizio del nuovo secolo questo processo di “presentificazione”, cioè l’intensificazione dell’esperienza di vita e il suo compattamento sul contingente, ha subito un’accelerazione tale da provocare oggi lo schiacciamento della visione prospettica, che per i giovani delle generazioni precedenti si concretava nella successione passato/presente/ futuro. Non viene meno comunque il desiderio di avventura e di esplorazione del nuovo, tratto caratteristico della giovinezza. Anche tra i giovani dell’attuale generazione vi sono grandi ideali, che però stentano a tramutarsi in progetti realizzabili e verificabili. Il “presente” stesso infatti è minacciato da una radicale relativizzazione delle esperienze che lo compongono, anzi, i singoli segmenti di vita tendono ad assumere significati mutevoli anche all’interno di una singola “storia di vita”18. Alla luce di quanto si è appena detto, non sorprende purtroppo che negli ultimi 10 anni tra i giovani italiani siano aumentati i consumatori di alcool, soggetti che bevono fuori pasto. La popolazione più a rischio di bing e drinkingè quella giovanile (18-24 anni): su un totale di 698 mila persone, il 16,6% sono giovani, con un rapporto tra maschi e femmine paria tre. Questo comportamento spesso si verifica durante momenti di socializzazione. Se si prendono in considerazione le sole ubriacature per i giovani di 18-24 anni, queste riguardano il 41,7% degli uomini che vanno in discoteca assiduamente (contro il 10,9% di quelli che non ci vanno) e il 20% delle donne (contro il 3,6% di quelle che non frequentano le discoteche).

I giovani della generazione Y crescono a stretto contatto con le molteplici sollecitazioni derivanti da un ricco e diversificato universo multimediale, facendo esperienze che vanno ben al di là di quelle che sono state considerate, fino a qualche tempo fa, normali esperienze di vita. I giovani tra i18 e i 30 anni sono aggrappati alla rete, intesa come internet ma anche come cellulare, iPod e altra tecnologia che li faccia sentire «connessi», ovvero dinamici, audaci, veloci e curiosi; per questo sono stati definiti “surfisti nella rete”. Il passaggio dall’esperienza diretta delle cose alla loro rappresentazione contribuisce, infatti, ad allargare a dismisura lo spettro esperienziale di ciascuno, anche se in una dimensione sempre più virtuale. Il tempo libero rappresenta sicuramente uno degli spazi fondamentali che permette ai giovani di rafforzare la propria identità e di esprimere la propria personalità20. Fotografare il modo con cui i giovani usano il tempo non scandito da impegni di studio e di lavoro fornisce un suggestivo elemento di analisi per cogliere la loro specifica predisposizione verso la partecipazione attiva alla vita della comunità in cui sono inseriti. Sicuramente una delle dimensioni più rilevanti circa l’uso del tempo libero è rappresentata dallo “stare insieme agli altri”. L’incontro in luoghi e spazi diversi da quelli di studio o lavoro, con persone esterne alla propria cerchia familiare, costituisce per i giovani un aspetto fondamentale per i processi di definizione dell’identità personale. Nello stare insieme si attivano processi di scambio, di confronto, di interazione che soddisfano un bisogno di socialità particolarmente vivo ed urgente nell’età giovanile. La centralità della dimensione relazionale del tempo libero emerge dalle più recenti indagini sulla condizione giovanile in Italia. In alcune attività svolte nel tempo libero, tale dimensione è così importante che i giovani intervistati ne vedono la finalità principale nella possibilità di svolgerle insieme ad altre persone scelte da loro stessi. Il contenuto simbolico dei prodotti della comunicazione (musica, film, trasmissioni televisive, letteratura, arti visive) oggi funge da specchio per riflettere e confrontarsi con una realtà complessa come quella giovanile; pertanto, se si vogliono conoscere i giovani, occorre guardare anche ai loro “consumi” culturali e se si vuole comunicare con essi bisogna saper usare lo spazio mediale, che rappresenta un vero e proprio spazio di “transizione”, in cui si inscrivono anche l’essere e il divenire dei giovani. I rapporti umani si trasformano in una mescolanza di reale e virtuale. Non c’è da stupirsi perciò che i fenomeni del momento siano YouTube, Second Life e i giochi di ruolo come Warcraft, che incatenano al video milioni di ragazzi.

Oggi i giovani preferiscono comunicare tramite forme virtuali di aggregazione, quali ad esempio i social network, che appaiono loro come una dimensione di partecipazione stimolante e ricca di prospettive proprio per la quasi totale assenza di gerarchie e limitazioni alla partecipazione. Le apparecchiature tecnologiche sono sempre più avanzate; c’è la possibilità di svolgere parte della propria esistenza attraverso percorsi e realtà virtuali; è consentito l’accesso ad una mole enorme di informazioni.

Il quadro che emerge dal recente 9° Rapporto Censis/Ucsi  (2011) sulla comunicazione in Italia, evidenzia alcune specificità della relazione tra i giovani e i media: una progressiva disaffezione per le forme di comunicazione alfabetiche e, in particolare, perla lettura; una persistente centralità della cultura visuale, in particolare dell’audiovisivo e della tv; la navigazione fra i contenuti, spesso audiovisivi, del web e l’utilizzo della rete con funzioni sociali. Soprattutto i giovani (14-29 anni) diversificano ampiamente le possibilità attraverso le quali seguire le trasmissioni televisive. Il 95% utilizza la tv tradizionale (analogica o digitale terrestre), il 40,7% la web tv, il 39,6% la tv satellitare, il 2,8%l’iptv, l’1,7% la mobile tv. La nascita dei social network ha avvicinato tantissimi giovani al computer ed ha aumentato la fruizione del web. Tra le ragioni che spingono i giovani a iscriversi a Facebook troviamo in primo piano, come mostrano le più recenti indagini nazionali, motivi relazionali: la possibilità di rincontrare vecchi amici e di mantenere i contatti con amici e conoscenti; le gratificazioni relazionali sono ben più importanti dello scambio e dell’apprendimento di contenuti e notizie, ma tra i motivi indicati c’è anche il bisogno di esserci, apparire e mostrarsi. La comunicazione online rende l’espressione affettiva immediata, senza dover rispettare i termini e il senso della costruzione di un rapporto interpersonale. Se il cosiddetto press divide ovvero il gap tra quanti contemplano nell’ambito delle proprie diete mediali la fruizione di mezzi a stampa equanti invece non li hanno più o non li hanno ancora – è in crescita per l’intera popolazione; questo dato assume una sua specificità fra i giovani: è infatti nella fascia tra i 14 e i 29 anni che il fenomeno cresce in maniera più consistente, a un ritmo doppio rispetto al resto della popolazione.

Testi consultati:

- Bauman Z. Modernità liquida. Bari: Laterza, 2000;
- Bauman Z. Globalizzazione e Glocalizzazione. Roma: Mondadori, 2005;
- Mion R.  I giovani tra cultura della vita e cultura della morte: analisi fenomenologia e ipotesi interpretative. In C. Semeraro (a cura di), I giovani tra cultura della vita e cultura della morte (pp. 31-56).Caltanissetta-Roma: Sciascia, 2000;
- Santambrogio A. Le rappresentazioni sociali dei giovani in Italia: alcuneipotesi interpretative. In F. Crespi (a cura di), Le rappresentazioni sociali dei giovani. Roma: Carocci, 2004

Prof. Alessio Lodes
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