UIL

Dantedì 

Sabato 25 maggio, alle ore 17 di lima in Peru’ e 23 italiane, l'unione Italiana di Lima, studenti di centri culturali italiani ad estero dislocati nelle varie parti del globo, si sono riuniunti online, mediante canale googlee meet, per celebrare il sommo poeta, il di’ a lui dedicato.

La disquisizione ha avuto luogo attraverso il Presidente della Uil, il Prof. Alessio Lodes, che si e’ soffermato dopo aver ricordato alcuni punti nevralgici della biografia del pellegrino, sull’importantza del sommo poeta. Se oggi parliamo italiano il merito è anche di Dante Alighieri. La storia è nota: il Sommo Poeta diede dignità letteraria al fiorentino adottandolo per scrivere la Divina Commedia; il poema divenne presto un best seller (per l'epoca) e il fiorentino si impose. Ma fino a quel momento, come si parlava, e scriveva in Italia? Quante lingue c'erano nel Paese? Ed è vero che, se i francesi non si fossero messi di mezzo, oggi parleremmo siciliano?

Fra il XIII e il XIV secolo non c'era ancora un'idea chiara su quale lingua standard dovesse essere usata in Italia. Al tempo la Penisola era caratterizzata e lo è ancora oggi – da una grande diversità linguistica: ogni città disponeva del proprio dialetto. E come lingua franca scritta si usava il latino o il francese. Poi però, durante la seconda metà del Duecento, nacque la scuola poetica dello Stilnovismo, i cui massimi esponenti erano toscani (a eccezione di Guido Guinizzelli, bolognese); e proprio in toscano, più precisamente in tosco-fiorentino, scrissero le loro poesie che poi circolarono ampiamente in tutta la Penisola.

Ma l'avvenimento decisivo fu la nascita della Commedia, che Dante scelse di comporre in volgare fiorentino: discorrendo di vari argomenti, anche privati, il poeta introdusse nella lingua numerosi nuovi lessemi e costrutti sintattici. Il successo della Commedia fu immediato ed è testimoniato dai circa 800 manoscritti dell'opera che ci sono pervenuti, a conferma che quanto meno entrò nelle case di tutti i dotti italiani. Grazie a questo straordinario successo fu evidente che nello scrivere in volgare, in Italia, non si poteva più prescindere dal fiorentino.

Eppure la prima scuola poetica italiana "parlava" un altro dialetto, il siciliano. Siamo alla raffinatissima corte dell'imperatore Federico II (1220-1250) nella prima metà del 1200. L'Italia, dopo circa due secoli di ritardo rispetto a quanto era avvenuto in Francia con il provenzale, produsse la propria letteratura in volgare. E lo fece utilizzando quello che oggi è considerato un dialetto, il siciliano, anche se comunque si trattava di una lingua letteraria, con molti influssi dal latino. I poeti alla corte di Federico erano molti: tra gli altri, l'inventore del sonetto, Jacopo da Lentini.

La nascita e il perentorio successo della scuola poetica siciliana fu talmente importante in termini storici e linguistici, che il siciliano avrebbe potuto tranquillamente essere oggi la nostra lingua nazionale.

Metabolizzato il successo della Commedia, in un primo momento sembrò riemergere l'uso del latino classico (in letteratura e nella diplomazia) a discapito del neonato italiano. Fu una fase passeggera. Già nella seconda parte del Quattrocento il volgare tornò infatti a proporsi. Già, ma quale? In pieno Rinascimento questo fu un dilemma che coinvolse i letterati di tutte le corti italiane. La diatriba su quale volgare standard adottare – la cosiddetta "questione della lingua" – fece litigare gli intellettuali della Penisola, perché nessuna corte era disposta a rinunciare al proprio volgare. Finché arrivò un cardinale veneziano, Pietro Bembo (1470-1547), e mise tutti d'accordo.

Parlando dell’attualità di Dante occorre fare riferimento, a mio avviso, soprattutto a questa seconda accezione del termine. La filosofia dantesca è infatti molto distante dai temi che coinvolgono il lettore moderno, ed è necessario farsi carico di questa lontananza storica e accoglierne tutte le conseguenze; ma è altrettanto vero che, leggendo la Divina commedia, come pure le maggiori opere filosofiche di Dante, quali il Convivio e la Monarchia, ci sentiamo attratti da qualcosa che sembra risuonare profondamente dentro di noi, pure a partire da quel passato ormai così distante.

Ma allora possiamo chiederci: che cosa c’è di attuale nel pensiero dantesco? Che cosa offre Dante alla nostra anima che possa essere ancora di nutrimento, di stimolo, di riferimento per un uomo o una donna che vive nelle nostre società così frenetiche e protese verso il futuro?

Una prima risposta sembra sorgere naturale ed è suggerita dall’interesse che molti uomini di Chiesa esprimono per l’opera dantesca: Dante è un punto di riferimento per il credente, anche al giorno d’oggi. Il poeta fiorentino offre infatti l’esempio di una fede vivace, radicale, capace di mettersi in contatto con tutte le esperienze, sia esistenziali sia intellettuali, dell’uomo di fede. Dante ci offre un esempio di un credere che struttura profondamente tutta la vita dell’uomo e tutto il suo rapportarsi con il mondo che lo circonda. Nella Divina commedia si percepisce subito che la fede diviene un principio attraverso il quale si interpreta e si rintraccia il senso stesso del mondo e della vita, ma ancora di più la rivelazione ci svela l’ordine stesso delle cose. La realtà, per come ce la presenta Dante, ha un ordine perfetto, rintracciabile dall’intelletto e pienamente comprensibile alla luce del dato rivelato; quest’ordine è di origine divina e, strutturando il cosmo, rende l’universo simile a Dio. Così si esprime per esempio Beatrice nel primo canto del Paradiso:

Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che l’universo a Dio fa simigliante.

L’ordine che regge le cose rende l’universo simile a Dio: il credente che legge questi versi può dunque vedere una somiglianza tra l’universo e Dio, e questa somiglianza sta proprio in quell’ordine che è uno dei più elevati oggetti dell’intelletto umano.

Ma questa riflessione ci spinge ad andare oltre: non soltanto il credente può essere profondamente stimolato a rintracciare nelle opere dantesche qualcosa che parla profondamente alla sua coscienza. Dante, certamente nella Divina commedia, ma ancor più nel Convivio e nella Monarchia, riallacciandosi ad una tradizione speculativa diffusa nel medioevo e risalente all’antichità greca, ci mostra come la perfezione naturale dell’uomo consista proprio nella conoscenza, nell’esercizio della facoltà dell’intelletto volta a comprendere la realtà profonda delle cose: l’uomo è infatti un animale razionale e la sua natura propria e caratterizzante è quella di essere capace di esercitare la ragione. L’uomo che conosce è un uomo che raggiunge la propria perfezione naturale. Questi concetti sono molto diffusi nel pensiero antico e in alcuni ambiti di quello medievale, ma Dante ha il merito di inserirli in un complesso letterario, poetico e speculativo di grande potenza in cui tutte le esperienze dell’uomo trovano il proprio valore e il proprio significato. Dante ci offre l’immagine dell’uomo totale, ma esso ci appare contraddistinto dalla capacità di trovare la propria perfezione terrena e naturale proprio in questo: nel vivere virtuosamente e nel conoscere profondamente; tra le pieghe di quell’immenso affresco della vita che è l’opera dantesca, troviamo l’invito potente a esercitare quella facoltà che più di tutte ci rende umani: il conoscere, il pensare, il comprendere. Questa è un’idea molto antica, ma è un invito che vale anche per l’uomo di oggi, e Dante ha la capacità di inserirlo in una rappresentazione del mondo e della vita di estrema potenza, in cui tutte le cose trovano il loro significato più profondo. Tutti ricordiamo le parole che Ulisse rivolge ai propri compagni nel ventiseiesimo canto dell’Inferno:

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.

Un altro aspetto del pensiero dantesco in cui mi piace rintracciare una non scontata attualità è la sua riflessione politica. Ciò potrebbe sembrare paradossale, perché Dante, nella Monarchia e meno specificamente nella Divina commedia e nel Convivio, ci parla di un progetto che a noi non può che sembrare del tutto anacronistico, ossia quello di un impero universale. Cercherò di dire che cosa trovo di attuale in questo. In primo luogo, mi sembra che noi possiamo essere molto attratti dall’idea di una res publica universale che unisca in sé tutti gli esseri umani: è un grande sogno di pace e di concordia che al giorno d’oggi viene vituperato dalla propaganda complottistica che si scaglia contro il progetto di un non ben specificato governo globale. In verità la prospettiva, forse utopica, di unire tutta l’umanità in un’unica società, fraterna e solidale, è a mio avviso di grande significato umano e ci può portare ad interessanti riflessioni sul ruolo di organismi internazionali come l’Organizzazione delle Nazioni Unite. In Dante l’idea di una res publica universale si accompagna poi a quella di una pace diffusa, che è il solo presupposto per un’esistenza davvero umana, dedita a ciò che rende l’uomo profondamente tale, ossia la virtù e la conoscenza. Ma secondo me non è priva di attualità anche la figura indubbiamente più anacronistica del pensiero politico dantesco, ossia quella dell’imperatore universale. Il monarca dantesco è molto più che un semplice politico: per il suo ruolo, per i suoi caratteri, per la sua figura, egli è l’incarnazione stessa dell’Intelletto. Il monarca che regna su tutto il mondo è l’Intelletto stesso che dirige e anima il vivere comune degli esseri umani. Che cosa c’è di più affascinante, di più seducente dell’idea di un’umanità condotta dalla forza dell’intelletto ad ordinarsi per conseguire i più alti obiettivi consentitile dalla sua stessa natura?

Non c’è dubbio: devo assumermi la responsabilità di un’affermazione che sembra avere del paradossale. Per me Dante è un pensatore indubbiamente attuale.

La prolusione e’ terminata alle ore 1.30 am e sono state poste alcune domande sul sommo poeta, a cui il Prof. Lodes ha risposto in maniera abbastanza aperta, al fine di invitare l’uditorio a fare ricerca ed approfondire personalmente, attivita’ essenziali che il sommo poeta port’ avanti in tutto l’arco della sua vita ramminga e sine  ubi  consistam.

Prof. Alessio Lodes
Pordenone (Italia)
Email: prof_biblio_lodes@yahoo.com