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La retorica: demiurga di persuasione

La retorica antica è comunemente definita abilità nel parlare ed è considerata uno strumento di potere. A tal proposito è interessante soffermarci su come si sia sviluppata: la retorica nasce nei primi decenni del V secolo a.C. a Siracusa a causa dei processi di proprietà. Verso il 485 a.C. i due tiranni siciliani Gelone e Gerone espropriano terreni per distribuire lotti ai soldati mercenari, poi, nel 467 a.C., un’insurrezione abbatte la tirannide, così, i cittadini siracusani intentano processi per difendere i loro diritti di proprietà, servendosi della parola per convincere le giurie popolari. 

Già si intravedono due dei tre grandi generi in cui si distingue il discorso oratorio, ovvero quello deliberativo (che si usa quando si deve  parlare davanti a un’assemblea politica) e quello giudiziario (che si usa nei tribunali durante i processi), mentre il genere epidittico si sviluppa successivamente con Gorgia che l’utilizza per parlare in pubblico.

Questa eloquenza diviene rapidamente un oggetto d’insegnamento e i primi professori di questa disciplina sono Empedocle d’Agrigento e Corace suo allievo. Questi vengono considerati, secondo una tradizione largamente diffusa, come i fondatori della retorica, che viene a definirsi, soprattutto con Corace, come un linguaggio sintagmatico, ovvero che s’interessa dell’ordine delle parti del discorso.

La retorica inizia, così, ad acquisire tecniche, teorie e precetti all’interno dei quali l’eloquen  za si configura come una virtu’ spontanea. Ciò che si vuole sottolineare, però, è che la retorica in questo periodo diviene un insegnamento trasmesso anche a  pagamento, infatti “Corace è il primo a farsi pagare le lezioni”. Si capisce come la retorica sia un insegnamento, in quanto dapprima trasmesso per vie personali grazie a un retore che istruisce o a un didcepolo o a un cliente, e poi, in seguito, è insegnata in alcune istituzioni apposite.

E’ interessante notare anche come la nascita della retorica sia legata alla rinascita della vita pubblica dopo la sconfitta della tirannide. La retorica nel mondo greco appare in concomitanza con il fiorire (o il rifiorire) della pubblica discussione, poiché essa viene vista come “espressione della libertà di parola” che si contrappone “all’esercizio autoritario del potere”.

È anche affascinante constatare come l’arte della parola sia legata originariamente ad una rivendicazione di proprietà, che non ha certamente a che fare con la parte più nobile della società, ma al contrario con quella più brutale che ha come scopo il conflitto sociale, poiché la collettività vede nell’arte dei discorsi uno strumento di potere.

La retorica antica è stata la protagonista e l’artefice della sovranità, lo si nota non solo pensando alla democrazia ateniese, ma anche alla  repubblica romana. Infatti, per vivere attivamente la vita politica è necessario parteciparvi, prendendo la parola, in modo da far valere la propria opinione grazie a un discorso efficace. 

Tale discorso permette di apportare cambiamenti e di ottenere prestigio e potere. Di conseguenza, nell’antichità ciò che discrimina i potenti dal semplice popolo è proprio il dominio della parola. Si capisce così, perché l’ambito principale della retorica antica sia stata da sempre la politica, in quanto essa è vista come “una técnica privilegiata (perché si deve pagare per acquisirla) che permette alle classi dirigenti di assicurarsi la proprietà della parola”.

Ed è proprio per questo che essa è definita da Barthes come una “pratica sociale”che, come tale, non è immune allo scontro, anzi, è Il luogo per eccellenza del conflitto sociale.

Grazie alla retorica, dunque, “la società ha riconosciuto al linguaggio la sua sovranità”. Questo concetto è ben spiegato nell’opera di Platone Gorgia. Si ricorda innanzitutto che questo dialogo, che ha come interlocutori principali il sofista da cui prende il nome l’opera, Polo, Callicle e Socrate, è scritto probabilmente dopo il 391 a.C. per dimostrare l’evolversi della retorica gorgiana.

Tale opera è però ambientata nel 427 a.C., anno in cui Gorgia visita Atene.

In questo dialogo il sofista spiega a Socrate, che fa le veci di Platone, che la retorica:

“È veramente il bene più grande…[perché è] ad un tempo causa di libertà per gli uomini, e, insieme, di dominio sugli altri nella própria città.”

In questo passo si capisce come la retorica sia artefice di libertà, e nello stesso tempo, abbia il potere di soggiogare la polis.

Il motivo per il quale ciò è reso possibile è spiegato successivamente dallo stesso Gorgia che precisa:

“Intendo la capacità di persuadere, mediante discorsi, in tribunale i giudici, nel buleuterio i consiglieri, nell’assemblea i concittadini riuniti, e così in ogni altra riunione che abbia un carattere politico”.

Si comprende, così, che la potenza della retorica risiede nella capacità di persuadere in ambito pubblico. Gorgia difatti ribadisce che:

“la retorica è fattrice di persuasione e tutta la sua opera e la sua stessa essenza hanno questo fine”.

La retorica è, dunque, demiurga di persuasione. In altri termini, la persuasione è l’oggetto stesso di quest’arte. Proprio per questo, la retorica antica è definita una tecnica, ovvero “un’arte”, “l’arte della persuasione che permette di convincere l’ascoltatore del discorso, anche se cio di cui va persuaso e’ falso. Ciò è chiarito dal sofista successivamente: 

“Socrate è [ti stupiresti] se ne conoscessi tutta la potenza. Perché si può proprio dire che la retorica concentri in se tutte le altre potenze e tutte le domini… Se un retore si trovasse a concorrere con qualsiasi altro tecnico, più di ogni altro riuscirebbe a farsi scegliere, poiché non vi è materia su cui non riesca più persuasivo di qualsiasi competente di fronte a una massa di persone tale e tanto grande è la potenza dell’arte”.

Gorgia fa un’ampia esaltazione del potere e della capacità persuasiva della retorica, che è in grado di riuscire anche là dove gli esperti falliscono: il retore proprio perché domina la retorica, che è artefice di persuasione, riesce a convincere la “massa di persone” con più efficacia rispetto a un competente in materia. Perciò conviene con Socrate successivamente:

“Non c’è nessun bisogno che la retorica conosca i contenuti; le basta aver scoperto una certa qual tecnica di persuasione, si da poter apparire ai non competenti di saperne di più dei competenti”.

Gorgia equipara, così, la retorica al potere, poiché grazie ad essa il retore convince la gente indipendentemente dalla sua conoscenza dei contenuti, però la persuasione dell’oratore può funzionare solo nei confronti di chi non sa (cioè “la massa di persone”). 

Infatti, il retore con questo pubblico non ha bisogno di conoscere ciò di cui sta parlando (è un ignorante tra gli ignoranti), ma gli basta dominare lo strumento di persuasione, in modo da apparire a chi non sa più competente di chi sa.

Socrate contesta però a Gorgia che la retorica per essere persuasiva debba necessariamente avere un suo contenuto.

Platone, infatti, sostiene che ogni arte o scienza, è veramente persuasiva se tratta di uno specifico oggetto. Per capire meglio questo concetto si ricorda che Gorgia precedentemente ha sostenuto che l’oggetto della persuasione è il giusto e l’ingiusto.

Socrate però afferma che ci sono due tipi di persuasione: c’è quella che deriva dalla scienza (episteme) che è vera poiché oggettiva, cioè il sapere che segue dall’aver imparato e quindi produce una conoscenza vera; e poi c’è la persuasione che deriva dall’opinione (doxa) che può essere vera o falsa poiché soggettiva, ovvero è la credenza che segue dall’essersi fidati, e quindi produce una conoscenza che può essere vera o meno.

Cosi, Gorgia ammette che la persuasione che produce la retorica sofista proviene dal crede re senza sapere e, quindi, è un’opinione (doxa).

Per comprendere meglio il pensiero del sofista sono necessari alcuni chiarimenti riguardo la sua concezione del linguaggio.

Gorgia riprendendo il pensiero di Parmenide, di Zenone di Elea e di Empedocle di Agrigento, sostiene che l’uomo non possieda la facoltà di comprendere la verità, ovvero l’essenza di ciascuna cosa, sempre ammettendo che essa esista. E anche se l’uomo riuscisse a conoscerla, essa è comunque impossibile da comunicare e spiegare. 

Gorgia così scardina non soltanto l’idea di una verità oggettiva, unica e universale, ma sostiene che il pensiero non riesce a comunicare mediante la parola la verità, ciò perché pensiero e parola non sono più in rapporto univoco. Di conseguenza, tramite il linguaggio si può solo esprimere un’opinione, ovvero una credenza, una verità contingente, in questo modo Gorgia giustifica la retorica, poiché ritiene che essa non è abilitata a produrre la verità. Dunque, l’unica possibilità che possiede l’uomo è quella di instaurare un rapporto con gli altri mediante la parola, perciò la sua retorica si configura come “arte del parlare” che ha la funzione di “fare (poieo) e trasformare”, ovvero coincide con la politica. Si capisce, così, come la retorica gorgiana si configuri come uno strumento di persuasione onnipotente poiché tutto può, grazie alla sua efficacia persuasiva. 

In questo modo il discorso politico non può avere nessun contenuto già dato, poiché le argomentazioni risiedono nell’opinione comune che si definiscono in base alla situazione. 

Il linguaggio, per Gorgia, seppur non possieda una corrispondenza con la realtà esterna esso non è comunque limitato, anzi, nella prospettiva dell’efficacia persuasiva l’alienità della retorica nei confronti della verità è un punto di forza. Inoltre, proprio perché il discorso non è fondato su premesse inoppugnabili come le altre scienze, il retore è un “tecnico della parola” che insegna le sue tecniche indipendentemente dall’applicazione che può essere buona o cattiva, giusta o ingiusta, ma di cui il retore non ha colpa.

Testi consultati:

Barthes, R. La retórica antica, traduzione di Fabbri P. Milano: Bompiani, 1972;
Beccaria, G.L. Dizionario di linguistica e filologia, metrica e retórica. Torino: Einaudi, 2004;
Belting, H. Antropologia delle immagini, traduzione di Incardorna S. Roma: carocci, 2011;
Mortara Garavelli, B. Manuale di retorica. Milano: Feltrinelli, 1985;
Platone: Gorgia. Torino: UTET, 2002.

Prof. Alessio Lodes
Pordenone (italia)
Email: prof_biblio_lodesal@yahoo.com