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Uomo e tecnologia: un intrico problematico

Di Alessio Lodes

L'importanza della tecnologia nella definizione dell’uomo è sempre più evidente, ma fin dalla sua comparsa la nostra specie si è ibridata con gli strumenti che costruisce: in realtà homo sapiens è sempre stato homo technologicus, unione di uomo e tecnologia in perpetua trasmutazione. Parte dell'umanità sembra destinata ad una profonda trasformazione culturale, epistemologica e perfino fisiologica. Ma la rapidità del cambiamento, favorito in particolare dalla tecnologia dell'informazione, minaccia il nostro equilibrio biologico ed emotivo e lacera le componenti etiche ed estetiche tradizionali.

Il carattere essenziale della tecnologia (intesa in senso lato come produttrice di strumenti per la conoscenza e l’azione) nei confronti dell’uomo è rivelato dalla retroazione che le innovazioni tecniche esercitano sugli esseri umani e sulla società. Evoluzione biologica ed evoluzione tecnologica si sono intrecciate in un’evoluzione “biotecnologica” in cui sono all’opera meccanismi darwiniani e meccanismi lamarckiani. Al centro di questa evoluzione vi è una successione di “simbionti”, cioè di ibridi biotecnologici, ciascuno dei quali è caratterizzato da dosi sempre più cospicue di tecnologia. La tecnologia è sempre un filtro, in quanto potenzia (o fa addirittura emergere) certe caratteristiche, fisiche o cognitive, e ne indebolisce o annulla altre. In particolare, le tecnologie dell’informazione hanno potenziato le capacità razionalcomputanti del simbionte uomo / computer a scapito delle facoltà emotive, etiche, estetiche ed espressive.

Quando si riflette sui complessi rapporti tra uomo e tecnologia, si fa spesso la tacita ipotesi che si tratti di due entità distinte e separate, per quanto interagenti e, inoltre, si assume che oggi l’evoluzione dell’uomo sia lentissima o addirittura ferma, mentre la tecnologia si sviluppa con grande rapidità. A volte non si percepisce che il fenomeno davvero interessante non è tanto la tecnologia in sé, quanto il rapporto uomo-tecnologia. L’attenzione allo sviluppo della tecnologia e gli entusiasmi e i timori che essa suscita fanno spesso trascurare la necessità di una riflessione critica su questi processi nel loro insieme.

Secondo, l’evoluzione della tecnologia contribuisce potentemente alla nostra evoluzione, anzi ormai (quasi) coincide con essa. Le due evoluzioni, biologica e tecnologica, sono intimamente intrecciate in un’evoluzione “biotecnologica”, al cui centro sta l’unità evolutiva homo technologicus, una sorta di ibrido di biologia e tecnologia in via di continua trasformazione. Homo sapiens è sempre stato contaminato dalla tecnologia, cioè è sempre stato homo technologicus. 

In biologia si usa il termine “simbiosi” per indicare uno stretto rapporto di convivenza e di mutuo vantaggio tra due specie diverse. Pur con i limiti di ogni metafora, anche il rapporto tra l’uomo e la tecnologia si può considerare una simbiosi, la cui manifestazione fenotipica, homo technologicus, è appunto un simbionte. Del resto l’uomo è in simbiosi, da sempre, non solo con i suoi strumenti ma anche con i batteri, i cibi, i medicinali, le piante, gli animali domestici. In passato l’esistenza e la perpetua trasformazione del simbionte biotecnologico erano poco visibili, tanto da autorizzare, in molte filosofie e in molte religioni, una visione fissista della natura umana. Oggi, per la velocità e il continuo potenziamento della tecnologia, il fenomeno è diventato piuttosto evidente. Da sempre il corpo umano è stato ampliato da strumenti e apparati che ne hanno esteso e moltiplicato le possibilità d’interazione col mondo, in senso sia conoscitivo sia operativo.

la tecnologia, fa parte integrante dell’uomo, l’homo technologicus non è “homo sapiens più tecnologia”, ma è “homo sapiens trasformato dalla tecnologia”, dunque è, di volta in volta, un’unità evolutiva nuova, sottoposta ad un nuovo tipo di evoluzione in un ambiente nuovo. Nell’evoluzione biotecnologica sono all'opera sia meccanismi darwiniani (mutazione e selezione) sia meccanismi lamarckiani (eredità dei caratteri acquisiti, per apprendimento e imitazione), in un groviglio difficile da sbrogliare. Inoltre i simbionti biotecnologici si stanno collegando a rete tra loro per formare una sorta di creatura planetaria, la quale potrebbe costituire un nuovo stadio evolutivo di tipo supersocietario. Benché sia immerso nel mondo naturale e sia quindi soggetto alle sue leggi, il simbionte vive anche in un ambiente artificiale, fortemente segnato dalle informazioni, dai simboli, dalla comunicazione e, sempre più, dalla virtualità. È vero, si tratta di uno scenario: ma oggi i panorami del presente e le ipotesi sul futuro si costruiscono spesso con questo metodo semiartigianale, visto che le armi della previsione razionale e rigorosa si stanno spuntando contro la complessità crescente del mondo artificiale, gli effetti a volte grandiosi di fluttuazioni anche minime e la velocità dei mutamenti.

Qui è importante accennare al problema etico-estetico, che si pone in termini nuovi per il simbionte biotecnologico e per la creatura planetaria in via di formazione. Qual è l’estetica del simbionte? Qual è la sua etica? Che legame c’è tra la sua estetica e la sua etica? Quale mondo (ri)crea il simbionte? Queste domande sono molto importanti nel caso dell’uomo a scarsa tecnologia, per il quale etica ed estetica sono legate a doppio filo perché entrambe pescano nella storia evolutiva e sono “rispecchiamenti” della vita e dell'evoluzione. In altre parole, l’estetica, intesa come sensibilità al bello e più in generale come partecipazione sensibile ed emotiva a ciò che ci sta intorno (esseri umani, animali, paesaggi ecc.), deriva dall’ immersione e dal contatto che abbiamo avuto con l’ambiente durante la nostra lunghissima storia evolutiva. Questa storia comune ha prodotto in ciascuno di noi una sensazione di armonia con l’ambiente, sensazione forte ma difficile da definire in modo preciso, tanto che “spiegare” che cosa sia il bello è molto arduo. Potremmo quindi dire che l’estetica è il sentimento soggettivo dell’immersione armonica nell’ambiente. D’altra parte, certe nostre condotte sono utili a mantenere quest’armonia e questo reciproco adattamento tra noi e l’ambiente, mentre altre condotte minano e indeboliscono quest’armonia. I comportamenti armonici rientrano nell’etica, anzi la costituiscono: si può quindi dire che l’etica è il sentimento di rispetto e di azione armonica con l’ambiente di cui facciamo parte. Di conseguenza l’etica ci consente di mantenere l’estetica e l’estetica ci serve da guida nell’operare etico. In un certo senso, quindi, etica ed estetica coincidono (o sono “isomorfe”) perché derivano entrambe dalla forte complicazione tra specie e ambiente: sono le due facce della stessa medaglia. Bisogna aggiungere che l’etica e l’estetica sono storiche, cioè si evolvono, sia a livello di specie sia a livello di individuo: le esperienze fatte in un contesto che varia producono novità etiche ed estetiche, che sembrano trovare il loro corrispettivo fisiologico concreto nell’attivazione di circuiti cerebrali specifici. Per effetto della separazione cartesiana e baconiana tra le componenti dell’uomo e tra uomo e natura e per effetto del pensiero scientifico e della tecnologia, da tempo, e oggi più che mai, l’etica, cioè l'insieme dei comportamenti “giusti” per la sopravvivenza dinamica armoniosa, è sottoposta ad una tensione fortissima, e ciò sembra avere conseguenze importanti anche per l’estetica. Etica ed estetica sono modificate anche dal forte effetto semplificante che la tecnologia opera sull’immagine del mondo e dell’uomo. Tutto ciò ha portato ad una grave crisi dell’estetica cui forse non è estraneo il processo di astrazione e di codifica che è alla base del formalismo scientifico e non solo scientifico: al contrario dei messaggi della natura, i codici dell’uomo sono arbitrari.

Abbiamo parlato di disadattamenti all’interno del simbionte homo technologicus, ma anche nella società si possono osservare fenomeni di squilibrio. Per esempio si osserva un divario tra i Paesi dotati e i Paesi sprovvisti di tecnologie informazionali (digital divide), divario che sembra addirittura allargarsi. All’interno di ogni Paese si osservano poi divari di alfabetizzazione tra strati sociali, fasce d’età e via dicendo. C’è poi, a livello diverso, un divario crescente tra le competenze costruttive dei pochi progettisti e le competenze puramente manipolative dei molti utenti. Si osserva anche una forte disparità tra domanda e offerta di tecnologia informatica: mentre per le tecnologie del passato l’offerta seguiva la domanda e di rado si osservava il contrario, oggi l’offerta di macchine e sistemi nuovi è così incalzante da provocare disorientamento e una certa incapacità nell’uso di ciò che esiste. La domanda viene creata dall’offerta. Per esempio, nel caso della didattica, molti insegnanti rifiutano i computer perché non sanno usarli, altri li vogliono, ma non sanno che cosa farsene e li usano in modo improprio, o meglio nei modi propri delle tecnologie precedenti. Si tratta certo di fenomeni transitori, ma non per questo meno degni di attenzione.

Bibliografia 

- Bateson Gregory. Verso un’ecologia della mente. Milano: Adelphi, 1976;
 
- Caronia Antonio. Il corpo virtuale. Padova: Muzio 1996;

- Collins Harry, Trevor Pinch. Il golem tecnologico. Torino: Edizioni di Comunità 2000;

- Horgan John. Morte della dimostrazione. Le Scienze, n. 304, dicembre 1993; 

- Lanzara Giovan Francesco. La logica del bricolage. Presentato al Convegno “Ingegneria e scienze umane”, Bologna, 29 settembre 2000;

Prof. Alessio Lodes
Pordenone (Italia)
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